venerdì 23 ottobre 2015

Perché Sanremo è Sanremo


Massimo Gramellini
La Stampa 23 ottobre 2015
Se un dipendente pubblico dichiara di essere in ufficio senza esserci commette un reato. Ma se a dichiarare il falso sono in duecento, quasi la metà della forza lavoro del Comune di Sanremo, la strisciata collettiva di cartellini taroccati che cosa diventa? Una prassi. La costituzione non scritta di questa repubblica fondata sul livore per le ruberie altrui, ma dove si ruba pacificamente ovunque, mica solo all’Anas. La repubblica delle BanAnas. Per farne parte occorre avere la faccia come il badge. Come il vigile che timbra il cartellino in mutande e scompare nella nuvola dei fatti suoi. Come lo stakanovista della canoa che si segna lo straordinario e poi va a pagaiare, e magari si lamenta dei politici senza nemmeno essere attraversato dal sospetto di appartenere a una casta anche lui. Come il funzionario animato da nobili intenti educativi che manda la figlia a timbrare al posto suo e la povera fanciulla, volenterosa ma inesperta, striscia quattro volte il cartellino prima di imparare a truffare lo Stato. Come l’impiegata che passa nella macchinetta il proprio badge e quello di un paio di amiche con la naturalezza di chi oblitera il biglietto della metropolitana, mentre i colleghi in coda dietro di lei fingono di non vedere o si accingono a fare lo stesso. 
La malattia è talmente diffusa che i malati non sanno più di esserlo e i medici stanno peggio di loro. Forse qualche licenziamento in tronco potrebbe rinfrescare la memoria a tutti quanti. Perché Sanremo è Sanremo, cuore pop dell’Italia intera, ma se le telecamere nascoste venissero piazzate su qualsiasi altro palco del Belpaese lo spettacolo non sarebbe più allegro.

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