Massimo Rebotti
Il Corriere della Sera 15 ottobre 2015
In un mondo
un po’ più lineare, di fronte a un provvedimento come lo ius soli
«temperato», votato due giorni fa alla Camera, o si è favorevoli o
si è contrari. Le nuove norme riguardano i figli di immigrati e
prevedono che da ora in poi per diventare cittadino italiano non
conti più solo «il diritto del sangue», e cioè essere nato qui da
almeno un genitore italiano, ma anche «il diritto del suolo e della
cultura», cioè vivere e aver completato nel Paese almeno un ciclo
scolastico. Insomma è uno di quei temi che sollecitano una scelta di
campo: e infatti lo ius soli «è una conquista di civiltà» per la
presidente della Camera Laura Boldrini o «una schifezza» per il
leader della Lega Matteo Salvini.
Tutti i partiti hanno scelto come
schierarsi tranne uno, il M5S, che si è astenuto. Hanno spiegato che
la legge è «aggrovigliata», «una scatola vuota che riguarda poche
persone rispetto ai 5 milioni di migranti che vivono in Italia».
Ogni deputato del M5S è sicuramente in grado di spiegare perché il
testo «non convince», ma di fronte alla nuda domanda — siete
favorevoli o contrari al principio dello ius soli? — probabilmente
cambierebbe discorso. I motivi sono due.
Il primo è che Grillo si è detto
contrario. Sui temi dell’immigrazione lui e Casaleggio, che non
vogliono lasciare campo libero a Salvini, hanno richiamato più di
una volta all’ordine gruppi parlamentari troppo «permissivi». Il
secondo è di ordine generale: i Cinquestelle, alla fine, cercano di
votare il meno possibile insieme «agli altri», anche quei
provvedimenti che in teoria recepiscono alcuni punti fermi del
Movimento. C’è sempre una legge «migliore» a cui tendere
rispetto al compromesso che viene raggiunto in Aula. Successe con il
disegno di legge sulla corruzione a cui i senatori del M5S avevano a
lungo lavorato insieme al Pd: prima del voto chiesero un’opinione
al web e il web disse di no. Stavolta, per decidere di astenersi, non
c’è stato nemmeno bisogno del referendum online tra i militanti.
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