Fabrizio Rondolino
L'Unità 7 ottobre 2015
Anche oggi una menzogna: concedere
l’immunità non significa che i parlamentari non sconteranno alcuna
pena.
“Votano qualunque porcata: pure
l’impunità ai senatori”. Con l’abituale garbo anglosassone il
Fatto annuncia oggi in prima pagina una svolta epocale, una
rivoluzione che non ha precedenti al mondo e che è destinata a
diventare oggetto di studio per le generazioni a venire, una radicale
innovazione del diritto costituzionale: l’impunità dei senatori.
Abbagliati dalla notizia, abbiamo
consultato il vocabolario Treccani per essere certi del significato
della parola, e ogni dubbio è stato presto fugato: impunità (dal
latino impunĭtas, derivato a sua volta dell’avverbio impune)
significa “esenzione da pena”. Se commetto un reato, un qualunque
reato, l’impunità mi assicura che non sconterò alcuna pena, mai,
per nessun motivo: non sarò punito. I futuri senatori potranno
passare col rosso o far esplodere una scuola elementare, secondo le
inclinazioni, e avranno la certezza di farla franca. Mica male.
Purtroppo per i lettori del Fatto, che
anche oggi sono stati costretti a leggere una menzogna, e
fortunatamente per gli italiani, le cose non stanno affatto così. A
pagina 7, miracolosamente, il Fatto trasforma l’“impunità” in
“immunità”: “I nuovi senatori – si legge – godranno di
tutti i privilegi di cui godono i parlamentari oggi”.
E quali sarebbero questi privilegi? “I
membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle
opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro
funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene,
nessun membro del parlamento può essere sottoposto a perquisizione
personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti
privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo
che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se
sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è
previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga
autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad
intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni
e a sequestro di corrispondenza”. Al Fatto probabilmente non lo
sanno, ma le parole che avete appena letto non vengono da
un’intervista di Verdini: sono scritte nella nostra Costituzione,
all’articolo 68.
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