martedì 6 marzo 2018

UN DETTAGLIO: IL CAMINETTO

Pierluigi Castagnetti
6 marzo 2018
Non commenterò (per ora, e per rispetto della Direzione nazionale del Pd che si riunirà lunedì prossimo) il disastroso risultato elettorale di domenica scorsa. E poi chi sono io?, se non un semplice iscritto ed elettore del partito.
Mi limito ad una osservazione controcorrente.
Dei 3 NO finali della conferenza stampa post elettorale di Renzi non condivido quello relativo ai caminetti. Com'è noto il termine venne coniato per descrivere gli incontri dei capi corrente all'interno della Dc, dove peraltro non si discuteva quasi mai o comunque non prevalentemente di distribuzione del potere interno. Nel Pd non ci sono correnti organizzate (così come le conoscevamo nei grandi partiti popolari e pluralisti), ma il pluralismo delle sensibilità e delle esperienze fortunatamente c'è - o dovrebbe esserci - ancora. E, sempre per fortuna, è cambiato anche il lessico, non si parla più di ditta, ma di comunità. Ma come si fa a costruire una comunità se non ci si parla più se non attraverso le interviste alla stampa. Una comunità è, per definizione, una famiglia, un luogo in cui si fa esercizio e ci si educa non solo alla convivenza, ma alla condivisione e alla reciproca solidarietà. Purtroppo i partiti moderni hanno luoghi di decisione troppo larghi fatti di centinaia di persone che spesso non si conoscono neppure tra loro.
E, allora, dov'è lo scandalo se si crea un luogo più ristretto in cui i dirigenti più rappresentativi, portatori di esperienze e sapienze diverse, di tanto in tanto si incontrano per discutere - anche in modo riservato - dei problemi del paese e del partito e, perché no, costruire il consenso attorno alle decisioni più difficili e delicate. Non si tratta di mettere in discussione le prerogative decisionali del segretario, ma di arricchirle di intelligenza lungimiranza e responsabilità .
Conosco già la risposta: per discutere ci sono i luoghi preposti, ma quei luoghi - come ho già detto - non consentono lo stesso grado di informalità, familiarità e confidenza. Quando ci si parla "al microfono" tutto questo non è realizzabile.
Una comunità è fatta anche di più intima e reciproca conoscenza personale e di riservatezza. Non è un caso se questi elementi oggi sono ricercati persino all'interno di esperienze professionali e aziendali. Senza "confidenza" vera, cioè fiducia reciproca non si governa un bel niente.
Ricordo Ermanno Gorrieri che, nella prima legislatura regionale in Emilia Romagna aveva affittato una foresteria per consentire ai consiglieri di stare insieme almeno due giorni la settimana, per "convivere", cioè lavorare, studiare, discutere, pranzare insieme, per costruire comunità, appunto, sulla scia dell'esperienza di Adriano Olivetti, senza che ciò provocasse una riduzione della sua leadership e della sua autorevolezza, anzi il contrario.
È ovvio che oggi non si può arrivare a tanto.
Ma l'unità di un partito, in un tempo in cui non ci sono più ideologie che garantiscano il senso di appartenenza, va costruita, non pretesa.
Mi si dirà che il mio è un discorso antiquato e nostalgico. Può darsi, ma sicuramente non è il mio spirito.
Io sono una persona anziana che, rompendo anche con amici di una stagione passata, si è sempre sforzata di capire e di aiutare, con il silenzio e la parola (se richiesta), il nuovo corso del tempo, al punto da ritenere che per il Pd sia giunto il tempo di un coraggioso ricominciamento, guardando avanti e non indietro (pur essendoci
nelle esperienze passate materiali interessanti anche per oggi).

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