lunedì 12 marzo 2018

MATTEO RENZI INTERVISTATO DA ALDO CAZZULLO


Corriere della sera 12 marzo 2018
Renzi, e ora? Si ricandiderà alle primarie?
«Il mio ciclo alla guida del Pd si è chiuso. Sono stati 4 anni difficili ma belli. Abbiamo fatto uscire l’Italia dalla crisi. Quando finirà la campagna di odio tanti riconosceranno i risultati. Ma la sconfitta impone di voltare pagina. Tocca ad altri. Io darò una mano: noi non siamo quelli non che scendono dal carro, semplicemente perché il carro lo hanno sempre spinto. Continuerò a farlo con il sorriso: non ho rimpianti, non ho rancori».
Cos’è accaduto nel Paese? Lei nel 2014 prese 11 milioni e 200 mila voti; ora poco più di sei milioni. Come se lo spiega?
«Di più: siamo passati da 13 milioni di voti del referendum ai 6 milioni di domenica scorsa. Abbiamo dimezzato i voti assoluti rispetto a quindici mesi fa. Allora eravamo chiari nella proposta e nelle idee. Stavolta — e mi prendo la responsabilità — la linea era confusa, né carne né pesce: così prudenti e moderati da sembrare timidi e rinunciatari. Dopo un dibattito interno logorante, alcuni nostri candidati non hanno neanche proposto il voto sul simbolo del Pd, ma solo sulla loro persona».
Qualcuno si è tirato indietro?
«Lei conosce qualcuno che entra in un negozio se persino il commesso dice che la merce in vendita non è granché? Poi ci sono ragioni più profonde. Internazionali: ha letto cosa dice Bannon, il primo ideologo di Trump, sull’Italia capitale del populismo? E nazionali, a cominciare dal disastro nel Sud. Ci attende una lunga traversata nel deserto. Ma ripartire da zero, dall’opposizione, può essere una grande occasione. La politica è fatta di veloci cambi. La sconfitta è una battuta d’arresto netta, ma non è la fine di tutto. Cinque anni fa Pd e 5 Stelle finirono 25 pari. Alle Europee è finita 40-20 per noi. Adesso 32-18 per loro. La ruota gira, la rivincita verrà prima del previsto».
Pensa davvero che se si fosse votato quando l’ha fatto la Francia, a maggio, o la Germania, a settembre, sarebbe cambiato qualcosa?
«Sì, perché sarebbe cambiata l’agenda politica. L’agenda sarebbe stata l’Europa, non altro. Come è stato per Macron o per Merkel. E prima ancora come è stato in Olanda per Rutte. Sull’Europa non avrebbero vinto le forze sovraniste. Ma poiché avevo visto per tempo questo rischio e l’ho illustrato più volte invano, mi sento io il responsabile delle mancate elezioni anticipate. Nessuna polemica con nessuno».
Siamo sicuri che le sue dimissioni siano vere? Come si eleggerà il nuovo segretario, con primarie o in assemblea? Chi sarà? Martina, Delrio? Zingaretti, Calenda?
«Le mie dimissioni non sono un fake. Ho seguito le indicazioni dello Statuto e dunque sul nuovo segretario deciderà l’assemblea. Rispetteremo la volontà di quel consesso. Sui nomi non mi esprimo; anche perché sono tutte persone con cui ho lavorato per anni. Io non parlo male di loro; li rispetto, li difendo. E se qualcuno ha cambiato idea su di me, è libero di farlo. Vedo in giro qualche fenomeno spiegare che abbiamo sbagliato tutto; però non riescono a dirci perché, nelle regioni che governano loro, il Pd è andato peggio della media».
Le consultazioni chi le farà? Lei salirà al Quirinale?
«No. Nelle ultime consultazioni il Pd ha sempre mandato al Quirinale i due capigruppo, il presidente e il reggente. Non vedo motivi per cambiare delegazione».
È vero che è rimasto solo al partito e che sono tutti contro di lei e il Giglio magico? Si sente isolato? Vede casi di ingratitudine?
«Chi dice questo vive in una realtà parallela. Mai come in queste ore il Pd riceve email e richieste di iscrizione. Nel popolo Pd la stragrande maggioranza sta sulla nostra linea: nessuno vuole fare l’accordo con gli estremisti. Altro che Giglio magico isolato. Qualche dirigente medita il trasformismo? Forse. Del resto la viltà di oggi fa il paio con la piaggeria di ieri. E se per caso in futuro dovessimo tornare, sarebbe accompagnata dall’opportunismo di domani. I mediocri fanno sempre così: hanno scarsa fantasia, i mediocri. Ma il nodo non è il dibattito interno. Capisco sia importante il nome del nuovo segretario; ma è più importante il nome del nuovo premier. Tutti parlano di noi, nessuno parla della crisi istituzionale in cui ci troviamo».
Parliamone. Sarà difficile sbloccarla se il Pd si chiama fuori.
«E che c’entra il Pd, scusi? Ci sono due vincitori ma non c’è maggioranza. Qualcuno ammetterà che con il No al referendum è difficile dare un governo stabile al Paese? Scommetto che tra qualche mese il tema della riforma costituzionale tornerà centrale. Forse qualche settimana».
Molte personalità della sinistra vi sollecitano un dialogo con i 5 Stelle. Perché rifiutare? E se Di Maio indicasse per Palazzo Chigi una personalità a voi non ostile?
«Non esiste governo guidato dai 5 Stelle che possa ottenere il via libera del Pd. Non è un problema di odio che i grillini hanno seminato. E non è solo un problema di matematica, visto che i numeri non ci sono o sarebbero risicatissimi. I grillini sono un’esperienza politica radicalmente diversa da noi. Lo sono sui valori, sulla democrazia interna, sui vaccini, sull’Europa, sul concetto di lavoro e assistenzialismo, di giustizia e giustizialismo. Abbiamo detto che non avremmo mai fatto il governo con gli estremisti, e per noi sono estremisti sia i 5 Stelle che la Lega. L’unico modo che hanno per fare un governo è mettersi insieme, se vogliono».
Crede davvero che Di Maio e Salvini potrebbero allearsi?
«Hanno il diritto e forse il dovere di provarci. I sovranisti hanno lo stesso programma su vaccini, Europa, immigrazione, burocrazia, tasse. Facciano il loro governo, se ci riescono. Altrimenti dichiarino il loro fallimento. Noi non faremo da stampella a nessuno e staremo dove ci hanno messo i cittadini: all’opposizione».
Una possibilità sarebbe far nascere con l’astensione un governo di centrodestra guidato da una figura meno estremista di Salvini. O no?
«No».
Il richiamo di Mattarella e Draghi al senso di responsabilità potrebbero portarvi a fare un governo di unità nazionale?
«Noi purtroppo siamo il quarto gruppo parlamentare, non più il primo: gli appelli alla responsabilità sono sempre utili, ma si rivolgono soprattutto ai gruppi più grandi. La palla oggi è in mano alle destre e ai 5 Stelle. Vediamo se e come sapranno giocarla».
Le elezioni anticipate sono un’opzione?
«Secondo me nessuno dei due schieramenti vincenti vuole tornare a votare. Prenderebbero la metà dei parlamentari che hanno adesso. Leghisti e grillini sono i più convinti che questa legislatura debba durare 5 anni. Umanamente comprensibile, sia chiaro».
Gli scissionisti ora potrebbero rientrare nel Pd?
«Lei si rende conto che per mesi abbiamo parlato solo degli scissionisti, e loro hanno preso meno consensi che Vendola 5 anni fa o Bertinotti 10 anni fa? Hanno avuto più articoli sui giornali che voti nei seggi. E ne parliamo ancora?».
Rimpiange di essere andato a Palazzo Chigi senza passare dalle elezioni? E di non essersi ritirato dalla politica dopo il referendum?
«Non ho rimpianti. Penso che abbiamo fatto bene a fare l’operazione-Palazzo Chigi nel 2014; altrimenti lo tsunami populista sarebbe arrivato con le Europee anziché con le politiche. Oggi il Paese può reggere anche mesi di discussioni tra Di Maio e Salvini, perché l’economia sta molto meglio. Ha visto quelli che in queste ore fanno la fila per avere il reddito di cittadinanza ai Caf? Ci sono anche quelli che si chiedono quanto tempo impiegherà Salvini a cancellare la Fornero o fermare quella che lui ha demagogicamente chiamato l’invasione o fare la tassa unica al 15%. Sono cittadini che chiedono ai leader di rispettare le promesse delle elezioni. Bene. Erano proposte irrealizzabili, ma adesso saranno loro a doverci mettere la faccia».
E lei ora cosa farà?
«Il senatore. Sono tra i pochi nel Pd ad aver vinto nel proprio collegio. Chi mi conosce davvero non ha di me un’immagine sporcata dalle polemiche. La mia gente sa chi sono; intendo onorare il loro affetto».
Il senatore di Scandicci, Signa, Lastra a Signa e Impruneta? Non ci crede nessuno.
«Fare il senatore della mia terra sarà un grande onore. E io a 43 anni se mi guardo indietro devo solo dire grazie. Perché abbiamo fatto tante cose. Abbiamo anche sbagliato, certo. Ma meglio vivere che vivacchiare, meglio sbagliare talvolta che rimandare sempre. Quanto al futuro, chi ha corso una maratona sa che è importante avere la gamba giusta e il fiato; ma che soprattutto serve la testa. Ci attende una maratona: prendiamola con il passo giusto. Abbiamo gambe, fiato e testa. Ho guidato per 5 anni la mia città, per mille giorni il mio Paese. Ho portato il mio partito a essere il più votato in Europa e grazie a questo risultato abbiamo vinto la battaglia della flessibilità a Bruxelles. Adesso si apre una pagina nuova».
Potrebbe fondare un suo partito?
«Di partiti in Italia ce ne sono anche troppi. Io sto nel Pd in mezzo alla mia gente. Me ne vado dalla segreteria, non dal partito».

Nessun commento:

Posta un commento