venerdì 6 maggio 2016

I nemici del nuovo Pd


Fabrizio Rondolino
L'Unità 6 maggio 2016
La difesa del buon operato del governo e delle istituzioni democratiche passa anche per una profonda, non più rinviabile autoriforma dei partiti.
È tempo che il Pd s’impegni per salvare il lavoro straordinario che il presidente del Consiglio ha fatto e continua a fare. Il primato della politica, che è la chiave del renzismo di governo e grazie al quale l’Italia sta ritrovando la strada dello sviluppo e della modernità, deve esercitarsi anche nella gestione e nella direzione del partito. E il modo più efficace per mettere in sicurezza le riforme, per restituire fiducia e credibilità alla politica, per ridimensionare le nostalgie giustizialiste della parte più chiassosa e minoritaria della magistratura, e per vincere il referendum di ottobre, è fare pulizia.
Da sé, e in fretta: senza scatenare nessuna caccia alle streghe dentro il Pd, ma anche senza alcuna indulgenza o compromesso. E senza aspettare l’avviso di garanzia, l’arresto o la condanna del giorno. Il cortocircuito mediaticogiudiziario – ogni accusa è già una sentenza, la personalità dell’imputato è fatta a pezzi in pubblico senza possibilità di replica, trionfano semplificazione e generalizzazione – rischia di travolgere un’altra volta la fragile infrastruttura democratica del Paese, consegnando al peggior qualunquismo populista e fascistoide l’egemonia nel dibattito pubblico.
Tutto l’impegno messo in campo dal governo in questi anni – compresi i numerosi provvedimenti per la legalità, contro la corruzione e per il miglioramento della macchina giudiziaria – rischia di essere dimenticato, travolto, cancellato.
Una possente macchina di propaganda s’incarica ogni giorno di picconare le basi stesse della convivenza civile: quando non ci saranno più politici in giro non avremo sconfitto la corruzione, avremo affossato la democrazia. Il fatturato dei media si nutre di scandali, quello della politica di buone riforme. È una gara asimmetrica, perché lo scandalo penetra con estrema facilità nelle coscienze, scuotendole e frastornandole, mentre la buone riforme, per dare frutti, hanno bisogno di tempo, volontà, tenacia. La semplificazione emotiva, sebbene contenga sempre in sé un errore di fondo, è più popolare della fatica della complessità.
È bene essere chiari: se nell’opinione pubblica dovesse prevalere l’idea che il governo e il partito di maggioranza sono covi di malaffare – un’idea rafforzata quotidianamente dalle notizie sulle indagini, gli arresti, le condanne – la sconfitta per il Paese sarebbe catastrofica. Possiamo rinunciare alla riforma del Senato e al governo Renzi, ma non possiamo rinunciare alla politica, alle elezioni e alla democrazia. Renzi ha fatto benissimo, nella sua qualità di presidente del Consiglio, a difendere l’indipendenza della magistratura, a ribadire che le indagini devono proseguire senza condizionamenti, a negare l’esistenza di un “complotto” o di una giustizia ad orologeria. Intanto perché è effettivamente così, e poi perché Renzi non è Berlusconi: la sacrosanta battaglia garantista per una giustizia giusta, rapida ed efficiente può essere vinta soltanto a patto di rinunciare ad ogni anche minima ambiguità: i delinquenti, quando sono provati tali, vanno puniti senza distinzioni né attenuanti. Ma, con altrettanta franchezza, è bene dire che questo non basta più.
La difesa del buon operato del governo e delle istituzioni democratiche passa anche per una profonda, non più rinviabile autoriforma dei partiti. Il Pd e i suoi gruppi dirigenti devono dare l’esempio, devono muoversi per primi, e non devono fermarsi di fronte a nulla. È illusorio (e politicamente sbagliato) pensare che questo compito possa essere svolto soltanto a Roma, dal segretario e dai suoi collaboratori: al contrario, è necessaria e urgente una grande mobilitazione a tutti i livelli, dai circoli fino ai comitati regionali. È venuta l’ora di un’assunzione di responsabilità individuale e collettiva. È venuta l’ora di drizzare le antenne, ascoltare, capire e intervenire, ciascuno nel proprio ambito, a viso aperto e responsabilmente, ovunque nel Paese.
L’autonomia della politica non significa soltanto potere e saper decidere senza subire le pressioni delle corporazioni, delle caste o della magistratura sindacalizzata: significa anche saper fare pulizia al proprio interno prima, e non dopo l’apertura di un’inchiesta. Non possono più esistere zone franche, potentati locali, ambiguità e tacite collusioni. È tempo di una grande campagna politica, diffusa e partecipata come e più di un congresso, per mettere in sicurezza il Pd dal malaffare che lo lambisce. È il malaffare, non la magistratura, il nemico mortale del nuovo Pd.

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