lunedì 23 novembre 2015

“Rottamazione fallita, il Pd è senza identità. Renzi deve ascoltarci”


francesca schianchi
La Stampa 21 novembre 2015
Richetti chiede un cambio di passo nella gestione del partito.
«Mi faccia dire chiaramente una cosa: non ho nessuna intenzione di attaccare Renzi, né di cambiare idea sul percorso fatto insieme», è la premessa del deputato dem Matteo Richetti, renziano della prima ora. Detto questo, però, «non credo sia onesto, nemmeno nei confronti di Renzi, nascondere problemi che sono evidenti anche all’ultimo degli iscritti al Pd». 
Quali problemi?  
«Mentre sull’azione di governo c’è la percezione che, dopo anni, finalmente qualcosa si stia muovendo nel verso giusto, nel partito il momento di suo massimo consenso coincide con il momento di massimo smarrimento». 
Cosa intende dire?  
«Il Pd non è più di nessuno: non di chi ha sostenuto Renzi, che vede candidati e dirigenti in totale continuità col passato, con la “ditta” tanto criticata, e non di chi ha contrastato Renzi e ritiene che la sua gestione del partito non abbia niente a che fare con la sinistra. L’identità del Pd è fortemente minata». 
Addirittura?  
«Le candidature messe in campo dal Pd sotto la nostra gestione – dalla Calabria alla Puglia alla Toscana – non hanno risentito dell’innovazione che ci si aspettava: si sarebbe dovuto valorizzare qualche bravo sindaco in più e qualche dirigente in meno». 
Insomma, la rottamazione nei territori è fallita.  
«Rottamazione è un termine che non mi è mai piaciuto molto. Diciamo che sta riuscendo la rottamazione delle prassi sbagliate, come la “supplentite” nella scuola, mentre sulla classe dirigente abbiamo l’onere di offrirne una al Paese che ancora non si vede prendere forma». 
Di chi è la responsabilità se non del segretario Renzi?  
«Se c’è una responsabilità sua è che il governo del partito dev’essere più condiviso. Guerini e la Serracchiani (i vicesegretari, ndr.) stanno facendo un lavoro straordinario, ma la forza di Renzi spesso si traduce nell’attesa che l’oracolo si esprima. È ora di dirigenti nuovi che governino i processi, di una segreteria che sia un costante riferimento per i territori e intervenga sulle questioni con criteri chiari e senza ambiguità». 
È fiducioso che avvenga?  
«Non credo che la forza propulsiva di Renzi sia esaurita: certo, se a Napoli il candidato sarà Bassolino, sarà il funerale della rottamazione». 
A proposito di Napoli: secondo lei, che si ritirò dalle primarie per un’indagine (finita poi con un’assoluzione), De Luca si dovrebbe dimettere?  
«Fossi in lui non mi sarei mai candidato, ma discutere oggi di dimissioni mi fa sorridere, la situazione non mi sembra molto diversa da quando si è candidato. Con De Luca abbiamo vinto in Campania, ma quella vicenda rischia di essere perdente nelle altre 19 regioni, dove quest’ambiguità non è compresa». 
Ma qual è il criterio nel Pd quando si è sotto indagine? Si deve fare un passo indietro o no?  
«Il punto fermo è la Costituzione: si può impedire a qualcuno di candidarsi dinanzi a una condanna definitiva. Il resto attiene a una sensibilità personale, che il Pd deve avere però come patrimonio condiviso: non si mette in difficoltà il partito. Il Pd sarà maturo quando non si affiderà alla sensibilità dei singoli, ma a una regola non scritta per cui le istituzioni vengono prima dei percorsi personali». 
Lei ha chiesto in passato a Renzi anche di fare chiarezza sul ruolo di Verdini al fianco del Pd...  
«Chiedo ci sia una distinzione chiara tra le esigenze della legislatura e delle riforme, e quelle del progetto politico, che non può essere snaturato da tracce di berlusconismo». 
C’è stata questa parola di chiarezza?  
«Io non ho sentito nulla, se non il fastidio per le mie parole: e questo, da chi stimo e apprezzo come Renzi, mi dispiace». 
Scusi, ma lei è ancora renziano?  
«Più di prima: l’ultima proposta di legge che ho presentato, per abolire i vitalizi dei parlamentari e passare al ricalcolo contributivo per tutti, è quanto di più renziano si possa produrre». 
Andrà alla Leopolda anche quest’anno?  
«Ci rifletterò, lì sono sempre a casa». 

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