giovedì 5 novembre 2015

I trasporti campani e il Casinò de la Vallée Tutti gli sprechi nei bilanci in rosso


Corriere della Sera - 04 novembre 2015
Sergio Rizzo
Fra Matteo Renzi e Sergio Chiamparino non sappiamo chi riderà di più. Una cosa però è certa: il divertimento sarà assicurato. Le Regioni lamentano di essere da anni sotto pressione, così da rischiare, denuncia il dimissionario presidente della loro Conferenza, la stessa sopravvivenza. I tagli, affermano, sono insostenibili al punto che in certi casi non sarebbe possibile garantire servizi sanitari essenziali. Roba da far venire i brividi. La verità è che dal 2010, anno in cui la spesa per la sanità aveva toccato il tetto di 117,2 miliardi, nel 2016 lo stanziamento pubblico si fermerà a quota 111. Meno 5,3%: calo che però in termini reali, tenendo conto dell’inflazione, arriva all’11,6%.
Raccontato così, i brividi vengono eccome. Ma la prospettiva cambia decisamente se allarghiamo l’orizzonte temporale del confronto. Nel 2000 la spesa si attestò a 71,2 miliardi: il che significa che nel 2016 il costo reale per il mantenimento del sistema sanitario risulterà del 18,8 per cento superiore a quello di una quindicina d’anni prima. Quando l’età media della popolazione era di sicuro inferiore, ma probabilmente non lo era la qualità del servizio, che del resto disponeva di un numero di posti letto ben maggiore. Il fatto è che la spesa sanitaria gestita dalle regioni ha registrato nei primi dieci anni di questo secolo una crescita forsennata, non soltanto al confronto di un’inflazione inferiore di quasi 19 punti, ma soprattutto del crollo della ricchezza nazionale. Il Fondo monetario stima per il prodotto interno lordo pro capite reale un calo del 6,1% fra il 2000 e il 2016, con un gap di quindi ben 25 punti rispetto alla dinamica dei costi della sanità. Sappiamo che le statistiche internazionali non considerano il dato italiano fuori linea rispetto alla media dell’Unione europea. Ma questi numeri non fanno sospettare se non altro sprechi e inefficienze, e non sono forse sufficienti per una riflessione seria, soprattutto considerando come in Italia esistano venti sanità con differenze abissali?
Per non parlare poi di altre voci della spesa regionale. Tornato alla sua prima vita di professore universitario a Bologna, l’ex deputato del Pd Salvatore Vassallo si è messo a lavorare a un libro bianco sulla governance delle regioni. Lo ha fatto partendo da uno degli enti territoriali considerati in assoluto più efficienti, l’Emilia Romagna. E nonostante questo il lavoro del suo staff ha fatto emergere una serie di «patologie burocratiche». Per esempio la gestione della dotazione informatica, delle sedi (in alcune realtà numerosissime e costosissime) e delle società partecipate: sulle quali aveva acceso invano un riflettore anche l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Inutile aggiungere, come fa Vassallo, che certe patologie possono tranquillamente essere estese, in modo maggiore o minore, a tutte le altre Regioni.
Alle società partecipate la Corte dei conti ha dedicato nello scorso mese di luglio un lungo e dettagliato rapporto, ricordando che recentemente le sezioni locali hanno formulato pressoché dappertutto una serie impressionante di rilievi alla loro gestione. Si va dalle perdite, in alcuni casi rilevantissime come nella Regione Campania, dove la gestione delle società di trasporto pubblico si è rivelata un bagno di sangue con un buco di 100 milioni nel solo 2010. Per arrivare a «carenze nell’esercizio delle verifiche». Fino all’aumento dell’indebitamento regionale finalizzato a tappare i buchi delle società. E qui saltano fuori casi spettacolari, come quello della ricapitalizzazione del Casinò de la Vallée di Saint Vincent costata alla Regione Valle D’Aosta una cinquantina di milioni: 390 euro per ogni valdostano. A dimostrazione del contributo formidabile che può arrivare dalle partecipate, la cui utilità è spesso assai discutibile, al rigonfiamento dei bilanci regionali. Dove il grasso, a dispetto delle grida di dolore che si levano davanti a ogni taglietto, non manca certo.
Qualche mese fa la Confcommercio ha deciso di calcolare quanto ci costano le inefficienze nella gestione di quegli enti territoriali partendo dal presupposto che tutte le Regioni funzionassero come la Lombardia. Ne è scaturito un conto stellare di 82,3 miliardi, dei quali oltre metà (42 miliardi) attribuibili a sole quattro regioni: nell’ordine, Sicilia (13,8), Lazio (11,1), Campania (10,7) e Calabria (6,4). E il bello è che fra le inefficienze non sono nemmeno comprese quelle che per giunta ci fanno perdere un sacco di soldi europei. Al 31 maggio del 2015, secondo il sito Opencoesione, avevamo speso 34,3 miliardi degli importi disponibili per i programmi 2007-2013: nemmeno il 74 per cento del totale. E se per 23 di quei programmi il livello previsto era stato oltrepassato, per altri 22 non si era raggiunto nemmeno il minimo sindacale nell’impiego delle risorse.

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