Al G20 manca un accordo sul futuro della Siria, ormai divisa in tre
staterelli su base etnica. E dopo il flop di San Pietroburgo per Obama
sarà ancora più difficile convincere il Congresso
La scena si ripete, ogni volta. I vertici dei Grandi sembrano
fatti apposta per fotografare con la massima lucidità quanto sia diviso
questo nostro mondo, in gruppi e sottogruppi che di volta in volta si
coagulano per poi sciogliersi. Così a San Pietroburgo, ieri alla fine
del G20. Anzi, questa volta sembrava fosse tornata in primo piano una
sorta di remake dei tempi della Guerra fredda, con i due giganti del
pianeta impegnati a egemonizzare la riunione. La differenza, però, è che
la Russia non è l’Urss e l’America di Obama non è quella di Reagan.
Nessuno dei due può imporsi, neppure rispetto ai propri alleati, al
massimo può giocare d’interdizione. Così ha fatto Vladimir Putin, il
padrone di casa, che ha impedito a Barack Obama di coagulare il consenso
necessario per lanciare l’attacco contro Assad, potendo alla fine
contare su un documento politico da parte di dieci paesi, tra cui il
nostro, che è più di solidarietà politica che di sostegno convinto.
Perché non si è trovato l’accordo? Di che cosa si è veramente
discusso? Il punto a cui si è arrivati in Siria riguarda certo gli
obbrobri di Assad, ma ancor più la sostanza di che cosa ha finora
prodotto la guerra civile. Ha prodotto una tripartizione della Siria.
Una parte curda, che già reclama l’autonomia. Una parte alawita
con Damasco e lo sbocco al mare, con la base navale russa di Tartus. E
una porzione sunnita. La Turchia teme la costituzione di un’area
amministrata dai curdi che inevitabilmente si salderebbe con la regione
curda dell’Anatolia. E la Russia non è intenzionata a perdere la sua
posizione privilegiata nel paese tradizionalmente alleato, l’unica sua
base in Medio Oriente. I sunniti, a loro volta, sono divisi tra
filoccidentali ed estremisti islamici.
Dunque, non è sul presente tragico che non si trova l’intesa ma sul
futuro della Siria. Nessuno ha il coraggio di dire come stanno davvero
le cose. Neppure Obama, che adesso, dopo il sostanziale fiasco del G20,
farà ancora più fatica a convincere gli americani, in grande maggioranza
contrari all’intervento, e i deputati della House, dove, si votasse
oggi, raccoglierebbe una «grossa sconfitta», come scrive The Politico. Mai un presidente statunitense si è trovato così solo: contro la maggioranza del suo paese, del Congresso, contro gli stessi vertici delle forze armate, il papa e la Chiesa cattolica americana, e anche storici alleati, perfino il parlamento britannico. Andrà avanti lo stesso?
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