venerdì 27 ottobre 2017

Pietro Scoppola il professore della politica


La Repubblica 26 ottobre 2017
Il suo progetto era l'Ulivo e non nascose la delusione per come nasceva il Pd
Fu tra i primi sostenitori di Romano Prodi e tra gli estensori del manifesto che diede vita al nuovo partito. "Non credo alla formuletta dei riformismi"
«Sì, la politica mi ha appassionato, come disegno per il futuro, come valutazione razionale del possibile e come sofferenza per l'impossibile, come aspirazione a un'uguaglianza irrealizzabile che è tuttavia il tormento della storia umana. Mi ha interessato la politica per quello che non riesce a essere molto più per quello che è», confessava Pietro Scoppola nel libro uscito postumo cui aveva dedicato le ultime energie, Un cattolico a modo suo. La politica nella sua doppia dimensione Scoppola l'aveva incontrata da storico di figure che avevano mantenuto l'equilibrio tra tensione e realismo: Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Giovanni Battista Montini. E da studioso impegnato in politica, cattolico più liberale che democratico, laico («laico», scriveva, «è colui per il quale le cose ci sono nella loro identità»), allergico ad apparati e mobilitazioni, specie quelle agitate in nome della fede, credente ma in-appartenente, dentro e fuori, istituzionale e movimentista.
Esterno, come si erano definiti in un'assemblea gli intellettuali che volevano cambiare la Dc, il partito- Stato dei cattolici, ma senza arruolarsi in una corrente, gli uomini della Lega democratica. Ermanno Gorrieri, Achille Ardigò, Beniamino Andreatta, Paolo Prodi, Romano Prodi, Paola Gaiotti De Biase, Luigi Pedrazzi, Nicolò Lipari, Paolo Giuntella, e poi Leopoldo Elia e un giovane professore palermitano, Sergio Mattarella: una riserva di intelligenze negli anni del terrorismo politico e mafioso che si accaniva sui loro maestri, amici, fratelli (Moro, Piersanti Mattarella, Vittorio Bachelet, Roberto Ruffilli). La vera radice dell'Ulivo e dunque del Partito democratico.
Di questo gruppo Scoppola era stato l'indubbio leader, carismatico e tormentato, da quando nel 1974 aveva guidato il gruppo dei cattolici del No nel referendum sul divorzio, contrari ad abrogare la legge. Monsignor Giovanni Benelli andò a cena a casa sua per comunicargli l'irritazione di Paolo VI, lasciandolo «preoccupato e spaventato e addolorato», come testimoniò l'amico ambasciatore Gian Franco Pompei. Si era candidato nel 1983 al Senato come indipendente nella Dc e quando il rinnovamento era fallito era tornato all'insegnamento universitario. I capelli bianchi, le sopracciglia folte, lo sguardo ironico, il professore si fermava a parlare di politica per ore con gli studenti nel corridoio dopo la lezione di storia contemporanea. «Oggi la storia si rimette in movimento, dobbiamo abbandonare tutti gli schemi che ci hanno accompagnato finora», ci accolse in aula la mattina di un lunedì qualsiasi che invece era la data spartiacque. Lunedì 9 novembre 1989, nella notte la Germania Est aveva aperto le frontiere, il muro di Berlino era venuto giù. La voce dello studioso vibrava di emozione. La democrazia occidentale aveva vinto. Ma lui aveva già capito che da quel momento sarebbe cominciata la sua crisi.
Scoppola all'inizio degli anni Novanta è tra i promotori dei referendum elettorali di Mario Segni e dell'amico Arturo Parisi. Sogna la democrazia dell'alternanza e una nuova casa politica per i democratici. Non è un cambiamento soltanto di legge elettorale: «Molte proposte di cui si discute rischiano di essere travestimenti del vecchio ordine, più`cheuna premessa di una nuova realtà. Il problema non è quello di far nascere una "seconda repubblica", bensì quello molto più complesso del passaggio da una "repubblica dei partiti" a una "repubblica dei cittadini": tanto più`arduo e difficile perché coinvolge questioni di mentalità e di cultura e non solo istituzionali».
Il suo progetto si chiama Ulivo, l'Ulivo di Romano Prodi, e poi il Partito democratico. Si impegna nella presidenza dei Cittadini per l'Ulivo, in giro per l'Italia già anziano in assemblee, convegni, dibattiti. Del Pd è uno dei padri fondatori, è nel gruppo ristretto che elabora il manifesto del nuovo partito, sua una delle relazioni introduttive nell'incontro di Orvieto del 7 ottobre 2006 che dà il via al processo costituente. «Crisi di identità e questione democratica, determinismo e libertà, paura e speranza di futuro, solitudine e amicizia, sono le dicotomie su cui il partito nuovo dovrebbe costruire la sua identità», consiglia, denunciando il ritardo del progetto rispetto al vento crescente dell'an- tipolitica (il Vaffa day grillino è di un mese prima). «È in crisi anche la democrazia americana. Ha radici profonde, ma il suo disagio è evidente e sintomatico», avverte Scoppola dodici anni prima di Trump.
Qualche mese dopo non nasconderà la delusione: «Non credo alla formuletta dei riformismi che si incontrano perché di riformismo in questo paese ce ne è stato poco per decenni. Il riformismo italiano più che una espressione di grandi e forti tradizioni politiche è stato un fatto di élites illuminate. Il Pd ha radici profonde nella storia del Paese o è una invenzione estemporanea, senza radici e perciò senza futuro?», si chiede il 17 marzo 2007. «La transizione italiana è povera di veri leader politici, di grandi disegni, di cultura », ripete nell'ultima intervista rilasciata a Repubblica, l'8 ottobre. Morirà due settimane dopo, nei giorni in cui il Pd prende vita.
Dieci anni dopo il Pd è rimasto il "partito ipotetico" di cui aveva scritto Edmondo Berselli. E la crisi della democrazia è avanzata, non solo in Italia. Oggi in politica l'intellettuale o è tutto dentro, consigliere e consulente del principe di turno, o è tutto fuori, a coltivare il narcisismo della sua purezza. Per questo è preziosa l'ultima lezione del professore, che si è sempre sentito esterno ma non estraneo: curioso degli altri, generoso con le persone, appassionato di tutto. Lo spazio della coscienza come antidoto al conformismo, all'onnipotenza della politica degli anni passati, o alla sua nullità di questi anni. Il filo tenace della responsabilità individuale, senza il quale la democrazia dei cittadini non arriverà mai.

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