sabato 14 ottobre 2017

Buon Compleanno PD!


Michele Nicoletti

Una riflessione di qualche anno fa, ma per me ancora attuale, per fare gli auguri più affettuosi al PD e a tutte le democratiche e i democratici.
La democrazia senza aggettivi
1. L’intuizione che ha portato a definire il nuovo partito come “partito democratico”, uscendo dalla stagione della botanica e tornando alla centralità delle idee politiche, ponendo il partito nuovo sulla base dell’idea di democrazia (“la più bella idea” che la storia della politica abbia partorito), è stata fondamentale e, ne fossero o meno consapevoli gli artefici di tale scelta, questa intuizione ha collocato la nuova formazione politica nel grande alveo della tradizione del pensiero democratico. Tradizione per nulla vaga e più risalente rispetto a quelle tradizioni di pensiero a cui di solito si fa riferimento quando si traccia la genealogia del PD e si invocano – quasi in una sorta di litania – le divinità protettrici del passato, i liberaldemocratici, i socialisti, i cattolici democratici e via enumerando. Se solo si assumesse uno sguardo appena più ampio, ci si accorgerebbe che queste nobili tradizioni, prima di essere nostre progenitrici, sono state a loro volta figlie, figlie di quella tradizione di pensiero democratico che ha portato alle rivoluzioni americana e francese combattendo l’assolutismo regio e affermando la sovranità del popolo. E questa tradizione si è certo manifestata nel corso dell’’800 in forme diverse, nelle correnti sopra ricordate, ma ha saputo mantenere anche una sua forza unitaria, operante a livello carsico, ma capace via via di battersi per i diritti civili, l’abolizione della schiavitù, l’emancipazione femminile, la giustizia sociale, l’educazione di tutti, la laicità del politico e il sacro rispetto della coscienza, e di lottare contro l’imperialismo e il nazionalismo, contro i fascismi e i totalitarismi di ogni colore, e di darci poi il frutto della Costituzione, frutto unitario di una lotta unitaria dei democratici, e di un idea di ordinamento della società internazionale basato sui diritti umani e dei popoli. Chi oggi dice che il PD non ha un’identità ideale non sa che cosa dice. O meglio parla di se stesso e del proprio disorientamento e ignora le grandi correnti ideali della storia. Il semplice fatto di aver posto il partito sotto l’egida – finalmente – di una democrazia senza aggettivi (e dunque non più la democrazia liberale o la socialdemocrazia o la democrazia cristiana, ma la democrazia e basta, perché – verrebbe da dire con il Marx della questione ebraica – “la democrazia politica è cristiana”) rappresenta la consapevolezza che l’idea di democrazia è il luogo dell’inveramento delle aspirazioni dei liberali, dei democristiani, dei socialisti. La democrazia non è una tappa intermedia verso altro, ma è l’ideale verso cui essa stessa tende. La politica sottratta all’essere strumento per la realizzazione di altre mete e restituita alla sua natura originaria: autogoverno di donne e uomini che si vogliono liberi e si riconoscono uguali. In uno sforzo perenne, mai del tutto raggiunto perché sempre nuovi esseri umani si aggiungono alla nostra convivenza, ed abbiamo l’eterno compito di riconoscere anche ad essi pari opportunità. Questa lettura più larga ci aiuta a collocare le diverse tradizioni che sempre ricordiamo entro una storia comune e a concepire il PD non come la costruzione artificiale di gruppi diversi ed eterogenei, ma come la ricongiunzione dei diversi rami della tradizione democratica al ceppo originario e comune. Ciò non accade oggi per la prima volta, ma già altre volte è accaduto sia pure non nella forma del partito e solo a rileggere gli atti della Costituente respiriamo quest’aria di unità democratica, di ritrovarsi in famiglia. Per cui è del tutto corretto dire che il PD è il partito della Costituzione e di quella Costituzione in cui le tradizioni democratiche italiane arrivano alla formulazione di quella concezione “dinamica” dell’uguaglianza che si trova originalmente formulata nell’articolo 3. È questa concezione dell’uguaglianza che sta alla base delle cultura politica del Partito Democratico e che anche oggi costituisce lo spartiacque ideale tra i diversi schieramenti. Se rileggiamo la storia delle idee politiche in Europa e nel mondo alla luce di questo spartiacque, ci accorgiamo di come si possa rinvenire – pur nella pluralità – un’unità più profonda delle tradizionali distinzioni (liberaldemocratici, socialisti, cattolici democratici, eccetera) che si fonda su questa concezione inclusiva della democrazia, tesa perennemente a realizzare condizioni di uguaglianza in un mondo che non smette di generare disuguaglianze. Uguaglianza non solo sul piano orizzontale dei diversi gruppi sociali, ma anche sul piano verticale dell’uguaglianza tra governati e governati che nell’età della democrazia di massa e della professionalizzazione del politico si fa particolarmente acuta.
2. Dunque l’idea c’è, la storia c’è, vi è da chiedersi piuttosto se vi siano fra noi oggi uomini e donne all’altezza di questa storia. Storia di impegno, di sacrifici e di lotte, come ogni democratico di ogni tempo sa, perché non vi è diritto di donna o di uomo che non sia stato conquistato attraverso lotte. La politica democratica – ossia la democratizzazione della politica - non è un gioco di società. E vi è da chiedersi se il deficit maggiore oggi non risieda nella mancanza di serietà, nella mancanza di consapevolezza del senso della nostra battaglia, nel deficit di carattere. Forse ci battiamo stancamente perché ci battiamo per i diritti altrui, avendo da tempo conquistato i nostri e badando semmai a conservarli gelosamente. Ma vi può essere politica democratica se quanti avrebbero un reale interesse all’espansione della democrazia – perché sfruttati o discriminati - non stanno dalla parte dei democratici? Se non vedono nei democratici chi si fa carico delle loro aspirazioni, chi dà mostra di “sentire” ciò che essi sentono e di “soffrire” ciò che essi soffrono? La forza dei movimenti democratici stava nel coniugare gli ideali di libertà, uguaglianza, fraternità con componenti sociali che avevano interesse concreto alla realizzazione di una società fondata su queste basi. Questa ricomposizione tra interessi e valori è essenziale e per questo è urgente una forte alleanza con le componenti della società che hanno interesse a un’espansione dell’uguaglianza delle opportunità e sono disponibili a comporre questo loro interesse in un orizzonte ideale di democratizzazione della società.
Politica e speranza
3. Ma la forza dei movimenti democratici non stava, in passato, solo nella loro rappresentanza sociale progressiva, stava anche nella loro capacità di suscitare la speranza in un mondo diverso, attraverso rappresentazioni ideali della società del futuro, che apparivano desiderabili, così desiderabili da rendere sensata la lotta, e da rendere sopportabili le avversità del presente. La politica moderna e in particolare la politica democratica si è costruita in modo determinante sull’idea di un futuro diverso dal presente. Fosse il regno di Dio o la società dell’avvenire, fosse il mondo della libertà e degli scambi pacifici, in ogni rappresentazione ideale stava la forza trascinante di un futuro migliore per cui valeva la pena impegnarsi. Quest’idea che il presente non è l’unico tempo dell’essere umano, ma un altro tempo esiste per cui le donne e gli uomini non sono condannati all’eterno ritorno dell’uguale miseria, ma sono destinati a un riscatto e a una liberazione, è stato un contributo fondamentale offerto dalle tradizioni ebraiche e cristiane alla politica occidentale. La speranza della liberazione. E la povertà della nostra cultura politica sta anche nell’inaridirsi di questo orizzonte perché le tradizioni religiose oggi di fronte alla vita politica appaiono più preoccupate di difendere i propri spazi attraverso lo strumento del politico, anziché allargare lo spazio e il tempo del politico attraverso il proprio orizzonte spirituale. E invece è di questo allargamento dello sguardo e del cuore di cui la politica democratica ha bisogno. Non certo per riproporre messianismi terreni che non hanno giovato all’umanità. Ma per dispiegare anche nella storia la forza liberante di una speranza in un orizzonte che trascende il presente. E in ciò – anche – è stata certamente la forza trascinante della proposta di Barack Obama al suo popolo, proposta così fortemente nutrita della speranza di una liberazione che ha radici salde nella tradizione democratica americana, dai padri fondatori ai difensori dei diritti civili. La speranza non è certo un patrimonio esclusivo delle tradizioni religiose, essa può fondarsi e alimentarsi anche ad altre sorgenti. Ma di essa, ovunque provenga, la democrazia ha bisogno per sostenersi nel momento in cui la fiducia nel cambiamento viene messa alla prova dalla crisi, dalla stanchezza e dalla rassegnazione. È in quest’ora che il pensiero democratico ha bisogno di tutte le energie spirituali di cui può disporre. Non deve costringere le persone a mettere tra parentesi le proprie energie spirituali, ma deve riuscire a esaltarle e a comporle in un quadro comune.
4. Ma non è solo per riaprire l’orizzonte del futuro che il pensiero democratico ha bisogno di attingere a energie spirituali. La crisi economica ha mostrato i limiti non solo di un modello sregolato di capitalismo, ma anche di un’economia di mercato che ha bruciato le risorse antropologiche da cui essa pure è nata. La logica di funzionamento del sistema economico lasciata a se stesso ha logorato quei presupposti di libertà della persona e di parità di condizioni senza cui essa non avrebbe potuto svilupparsi e per questo entra in tensione con le aspirazioni democratiche, che non possono accettare un sistema che produce disuguaglianze sempre più ampie. La reazione del sistema politico democratico alla crisi economica è stata debole: come i meccanismi democratici sono stati spesso impotenti di fronte alle sregolatezze del sistema, così nel momento della crisi raramente sono riusciti ad evitare che le risorse pubbliche messe in campo non finissero nelle mani degli stessi agenti e delle stesse logiche che hanno prodotto la crisi. È su questo piano che si misura la difficoltà, per non dire l’impotenza delle democrazie: quello che dovrebbe essere il sistema politico maggiormente in grado di difendere i meno abbienti, rischia di cooperare al maggior trasferimento di risorse pubbliche (provenienti in gran parte dal lavoro) nelle mani di chi già ha. È questo compromesso tra (cattivi) attori economici e (cattivi) attori politici, che va rotto a favore di un nuovo e più avanzato compromesso tra democrazia ed economia di mercato. Per questo serve non solo una politica che intercetti gli attori sociali ed economici interessati al cambiamento (spesso inclinanti verso la rassegnata astensione), ma anche una teoria sociale capace di dare spazio in chiave dialettica ma non antagonista a quanti aspirano a una «revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo» in una logica di rispetto dell’ambiente e della giustizia sociale a livello nazionale, internazionale e intergenerazionale. Si tratta qui, di nuovo, di nutrire il pensiero democratico con antropologie dialogiche e solidaristiche che nel radicale rispetto della libertà della persona si oppongano però al rischio presente di reificazione dell’”altro essere umano” presente nelle prospettive individualistiche. Occorre perciò accettare la sfida del confronto antropologico anche sui terreni cruciali dell’inizio e del fine vita, così come del valore sociale delle relazioni familiari, intessendo un confronto aperto e intenso con quanti si occupano della “messa in salvo dell’umano”. Può darsi che questo confronto porti in ogni caso a divergenze sul piano delle concrete scelte da operare sul piano legislativo per operare nell’oggi quel bilanciamento di beni che la nostra Costituzione ci chiede. Ma è essenziale che in questo dialogo si renda a tutti percepibile il valore di tutti i beni in gioco, perché le mediazioni giuridiche e politiche – sempre contingenti – custodiscano la preoccupazione che nulla dell’altro bene vada interamente perduto. Coltivando il dialogo con le tradizioni morali e religiose sul piano antropologico, il movimento democratico potrà opporre all’alleanza strumentale tra trono e altare la proposta di un confronto e di una cooperazione tra credenti e non credenti che riconosca da un lato la secolarità del politico e la trascendenza del teologico e coltivi dall’altro la cooperazione dialettica tra le diverse prospettive.
5. La situazione preoccupante della democrazia italiana esige certamente che si faccia ogni sforzo per perseguire politiche di alleanza con le altre forze progressiste, ma un allargamento del fronte non basterà a rendere i democratici i protagonisti del cambiamento se non sapranno anche allargare l’orizzonte sociale e culturale della loro proposta. E se non sapranno allargare il loro cuore, la loro capacità di “sentire” ciò che gli altri soffrono. A loro spetta il dovere di testimoniare che la democrazia è in grado di farsi carico più di altre forme di governo dei grandi problemi sociali che attraversano il nostro tempo e ciò va fatto in primo luogo esprimendo la propria vicinanza a quanti vivono con maggiore difficoltà. In questa vicinanza, i democratici, se attingeranno al proprio – straordinario e intatto – patrimonio ideale, sapranno riaprire l’orizzonte della speranza e, ritrovando il senso e le energie di un nuovo impegno, potranno contribuire a costruire, assieme, nuove condizioni di vita, più umane per tutti.


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