Mentre Obama si fa amletico in attesa del voto del Congresso, papa
Bergoglio tuona e twitta contro il conflitto in Siria. Come Wojtyla ai
tempi del Kosovo
La crisi siriana tocca il suo apice in un momento particolare
per la collocazione della chiesa cattolica sulla scena globale: in piena
transizione, nelle prossime sei settimane, da un’amministrazione
(quella del segretario di Stato cardinale Bertone) che ha fatto scempio
della grande tradizione diplomatica vaticana, verso il ritorno ad una
segreteria di Stato capax sui con il nuovo segretario di Stato Parolin.
Se questo fatto rappresenta un’incognita per le istruzioni che i
diplomatici vaticani riceveranno sul terreno nei prossimi giorni,
d’altro canto la situazione consente a papa Francesco di agire in modo
personale, intrecciando dimensione politica e spirituale con il digiuno
convocato per il 7 settembre.
Ma la crisi rivela anche un volto finora inesplorato del pontificato
di Bergoglio, finora impegnato nel trattare dossier interni alla
compagine ecclesiale alle prese con lo shock di VatiLeaks, del caos
della Curia romana, e delle dimissioni di papa Ratzinger. Le stesse
parole del papa all’Angelus di domenica – «c’è un giudizio di Dio e
anche un giudizio della storia» – rivelano molto della visione
bergogliana circa il ruolo della chiesa nel mondo contemporaneo.
Benedetto XVI non avrebbe mai parlato di un “giudizio della storia” per
richiamare i potenti alle proprie responsabilità. Bisogna iniziare da
qui per comprendere il radicalismo di Bergoglio.
Le parole di papa Francesco non hanno solo un rilievo teologico, ma
anche politico. Questo momento anticipa e amplifica uno dei tratti
fondamentali per comprendere la geopolitica del pontificato: il rapporto
tra il papa latinoamericano, gli Stati Uniti e il cattolicesimo
statunitense. Finora Francesco ha solo accennato ad alcune fondamentali
differenze tra la sua visione di chiesa e quella del cattolicesimo
rampante (e di destra) a stelle e strisce: circa la dottrina sociale sul
lavoro e l’economia, l’enfasi sulla difesa della vita, la questione
omosessuale nella chiesa. Alcuni vescovi americani non hanno gradito e
lo hanno fatto notare al papa neo-eletto a mezzo stampa (cosa senza
precedenti).
Con il possibile intervento americano in Siria il pontificato si
trova davanti alla questione dell’atteggiamento della chiesa cattolica
nei confronti non tanto della guerra come tale. In questo senso, il vero
paragone non è con la guerra in Iraq del 2003, ma con le campagne aeree
nella ex Jugoslavia del 1999, su cui il messaggio proveniente dalla
diplomazia vaticana fu allora necessariamente pieno di ambiguità, dato
lo schieramento delle chiese ortodosse (e della Russia di Eltsin) con la
Serbia di Milosevic, e dati i sensi di colpa della diplomazia
wojtyliana circa l’inizio dell’implosione nei Balcani per via del
riconoscimento dato precocemente dal Vaticano a Slovenia e Croazia.
Oggi, la chiesa americana ha prontamente fatto proprie le parole di
pace di papa Francesco: questa guerra è apparentemente lontana dagli
interessi strategici americani, l’America è stanca, e quindi il papa
saprà farsi ascoltare meglio su questa che su altre questioni. Ma la
Siria occupa un posto cruciale nella visione vaticana del Medio Oriente,
e la convergenza di questi giorni non deve ingannare: papa Francesco
sarà un interlocutore difficile, sia per gli americani liberal che per
quelli conservatori e neo-conservatori.
Nessun commento:
Posta un commento