30/12/2013
La Stampa 30 dicembre 2013
L’intervista di ieri di Renzi sulla Stampa contiene cinque
proposizioni che fanno capire molto bene qual è la postura del nuovo
leader Pd nei confronti del governo e immaginare quali saranno le sue
prossime mosse.
Primo. Io non sono come Letta e Alfano. Renzi, senza giri di
parole, marca la completa discontinuità della sua storia rispetto a
quella del premier e del vicepremier. E questo nessuno lo può mettere in
dubbio. Sono due mondi e due visioni della politica sideralmente
opposte che hanno ben poco in comune. Non basta l’età a tenerle
agganciate. Letta e Alfano sono arrivati a ricoprire vari incarichi
politici, e certamente il più elevato della loro carriera, quello
attuale, per nomina dall’alto, da parte di politici parecchio più
anziani di loro. Renzi ci è arrivato con voti conquistati dal basso,
ponendosi in aperto contrasto con chi ha mandato avanti i primi due.
Renzi può far pesare voti, non generiche dichiarazioni di stima, già
presi o attesi, che i coinquilini di Palazzo Chigi non hanno.
Secondo. Il governo va facendo marchette. In effetti i giri
di valzer sull’Imu e la carrettata di nomine di neo-prefetti sono opera
sua (del governo).
Le mille mance della legge di stabilità sono
passate con la sua approvazione, benevola o succube nei confronti dei
battaglioni parlamentari senza guida che lo sostengono.
Terzo. Non negozio con Letta sui sottosegretari. Il
sindaco-segretario ci dice chiaro e tondo che non gli interessa il
rimpasto, una pratica consolidatissima della prima repubblica, dopo aver
accettato la quale, crollerebbe tutto il castello della sua diversità.
Un altro modo per dire: le piccole intese non sono cosa mia e non mi
faccio includere in giochi di palazzo destinati a durare poco. Un Renzi
che fa il verso a Grillo, rigettando scambi e accordicchi con chi ha una
visione diversa dalla sua.
Quarto. Datemi una legge elettorale maggioritaria. Oggi, in
effetti, una priorità assoluta: per la democrazia italiana e per il
Renzi medesimo. Senza una legge elettorale che consente a chi vince di
governare, continueremo a tenerci, nella migliore delle ipotesi, governi
di decantazione, incaponiti nel voler durare, mentre il Paese si
arrabatta declinando. Senza una legge maggioritaria i partiti non
avrebbero più bisogno di un leader che faccia loro vincere le elezioni.
La forza di Renzi, il suo approccio alla leadership e il suo primo
messaggio, perderebbero peso. Per questo dice chiaramente (e
giustamente) che ne parlerà con chiunque, a cominciare da Berlusconi,
forse l’unico interessato a questo accordo, a dimostrazione che è ancora
quello che prende i voti nel centrodestra.
Quinto. A chi scalpita per andare alle elezioni, Renzi dice: «State calmi, ragazzi».
Per interpretare le prime quattro affermazioni non servono
supposizioni e dietrologie. Sono una la conseguenza dell’altra. Semmai
ci si potrebbe chiedere: perché dire le prime tre con così poca grazia
nei confronti di Letta e Alfano, così a brutto muso? Ma solo se non si
fosse ancora capito il carattere del ragazzo («the boy», si diceva di
Tony Blair), il suo parlar chiaro e la sua dichiarata ambizione. Uno che
ha capito che nella melassa melliflua della politica italiana, che ha
disgustato anche il più paziente dei cittadini, è meglio colpire
piuttosto che tentennare, sparare e incalzare piuttosto che rassicurare.
L’unica cosa su cui si possono nutrire dubbi è se sia
realmente disposto, dopo aver ottenuto la legge elettorale, semmai gli
riuscisse, ad aspettare ancora un anno e mezzo. Dovendo nel frattempo
affrontare il test insidiosissimo delle Europee, con il Pd compresso tra
l’esplosione dei sentimenti euroscettici, mobilitati da Berlusconi,
Salvini, Vendola, Grillo, e una miriade di partitini suoi alleati nelle
ristrette intese.
Finora Renzi è parso credibile nel dire che sosterrà il
governo Letta fino al 2015, affinché e purché si facciano le riforme
(legge elettorale e abolizione del Senato). D’altro canto non è facile
far correre la bicicletta delle intese di taglia mini come una Ferrari,
infiocchettando una scelta epocale dietro l’altra dopo 20 anni di
inerzia totale. E’ una sfida che rasenta l’impossibile. Il primo test è a
gennaio. Se Alfano si metterà di traverso, per prendere tempo e
sostenere una legge non abbastanza maggioritaria, sarà già molto chiaro
che la road map delle riforme è arrivata al capolinea.
Nessun commento:
Posta un commento