08/12/2013
Tra tutte le cose che si sono dette e che si diranno su Nelson
Mandela, sono le piccole storie a emozionare di più. Le sue lunghissime
giornate nel carcere di Roben Island,
dove il rancore cedette il passo alla lucidità. Una grata che scorreva,
una piccolissima finestra da dove filtrava uno spiraglio di luce,
alcuni uccellini che cantavano fuori. In quel luogo, Madiba vinse i suoi
demoni e riuscì a rinunciare a quella violenza che aveva fatto parte
della sua vita. Fu un lungo percorso dalla formazione del braccio armato
“Umkhonto we Sizwe”, fino a diventare un paladino della lotta pacifica.
Fu una conversione autentica, non dettata da convenienza e
opportunismo, ma scaturì dal suo intimo, come avrebbe dimostrato la
successiva attività politica.
Nato nel 1918, Mandela visse un secolo convulso, caratterizzato da
guerra fredda e leader a caccia di protagonismo, anche a danno dei loro
popoli. Visse un’era di grandi nomi e di piccoli cittadini, nella quale a
volte fu più importante stabilire chi faceva una determinata cosa,
piuttosto che il motivo per cui veniva compiuta. Fu classificato
terrorista non solo dal regime razzista sudafricano di quel periodo, ma
anche dalla stessa ONU. Una volta in prigione, il recluso 466 dedicò
molto tempo a meditare su ciò che aveva fatto e su quale avrebbe potuto
essere il percorso migliore per far uscire il suo paese dalla
segregazione razziale e dall’odio. La sua trasformazione personale
influì in modo determinante su come si riuscì a smantellare
l’Apartheid.
Tanti statisti cercavano di restare ben saldi al potere per diversi
mandati e parecchi decenni, invece Mandela fu Presidente del Sudafrica
soltanto per un lustro. L’uomo nato nel villaggio di Mvezo fu talmente
saggio da rendersi conto che il dialogo e la negoziazione erano la via
giusta per cambiare una nazione così ferita. Tra tutte le istantanee
della sua vita, i sorrisi accennati e gli abbracci dispensati, io
preferisco l’immagine di un prigioniero che tra le sbarre incontrò se
stesso. Il Premio Nobel della Pace consegnato nelle sue mani non è così
commovente come immaginarlo affamato, addolorato, impaurito e,
nonostante tutto, immerso nei suoi pensieri di perdono, pace e
riconciliazione.
Alla tua memoria, Madiba!
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