Il leader Cinquestelle parla di impeachment ma è chiaro che non sa
di cosa parla. Perché si imbarca in una campagna prevedibilmente
fallimentare?
Quando
Beppe Grillo dalla sua villa sopra Genova lancia strali contro il
presidente della repubblica ipotizzando l’impeachment, è chiaro che non
sa di cosa parla e che non conosce la materia: chissà cosa intende per
messa in stato d’accusa, chissà se ha preso in considerazione che
nessuna forza politica lo segue, chissà se conosce l’unico – e infelice –
precedente di Cossiga.
Non merita, questo mortaretto di fine anno, una discussione di merito: perché un merito non c’è. È propaganda.
Ed è questo l’aspetto su cui riflettere. Perché Grillo si imbarca in
una campagna prevedibilmente fallimentare? L’impressione è che il comico
genovese abbia avvertito la necessità di spostare il target delle sue
sparate, avendo sempre di più difficoltà a sviluppare il teorema di un
“superinciucio” che non esiste nemmeno sotto la forma di convergenza
parlamentare, si sia impappinato sulla mitica narrazione del pdmenoelle, abbia constatato che non funziona tanto neanche la storiella del Renzi berluschino.
Può anche darsi che Grillo maneggi con difficoltà le sue armi sul
crinale Nazareno-palazzo Chigi, hai visto mai che la svolta
generazionale un qualche problema comincia a crearglielo, e perciò se la
prende con il meno giovane – anagraficamente – di tutti, volgarmente
cianciando di giardinetti e pensionamenti, vellicando l’umor nero di tanti italiani.
Roba già vista, nel bel mezzo di grandi crisi come questa. Erano i primi anni Venti, giusto?
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