Quale attualità del grande uomo politico e di chiesa su alcune questioni costituzionali?
Di fronte a pensatori (che sono anche uomini di azione) che
hanno segnato alcune fasi storiche e alcuni temi è semplicistico
proporre un bilancio in blocco, nonostante che ci sia spesso proprio
l’abitudine a ragionare in blocco.
Occorre invece operare un puntuale discernimento per capire: a) quali
aspetti del pensiero e dell’azione siano portatori di futuro e qui
occorre introdurre una sottodistinzione: o perché attuati in quel
momento e rimasti validi, quindi strettamente attuali, o perché allora
non accettati e rivelatisi presbiti, da riprendere in seguito; b) quali
invece siano storicamente condizionati e quindi non riproponibili.
Rispetto alle questioni costituzionali, le uniche su cui mi sento di
tentare un simile discernimento, propongo pertanto il seguente schema di
valutazione: 1, Dossetti è strettamente attuale nel celebre ordine del
giorno anti-totalitario, praticamente recepito anche se formalmente non
votato (che reagiva all’impostazione iniziale, ideologizzata, delle
sinistre di fondare la Costituzione solo sull’antifascismo e la lotta di
liberazione), ordine del giorno che finalizzava lo stato alla crescita
della persona umana che lo precede.
E’ poi attuale e nel suo principale punto di caduta, il catalogo dei diritti e dei doveri della Prima Parte della Costituzione;
può essere considerato strettamente attuale perché, come ricorda
Augusto Barbera, la clausola generale contenuta nell’articolo 2 insieme
al principio personalistico è aperta, non è chiusa, consente un
aggiornamento sulla base dei cambiamenti della coscienza collettiva, che
poi concretamente passa soprattutto attraverso la giurisprudenza
costituzionale. Consente al diritto di essere dentro un movimento della
dinamica sociale, parzialmente autonomo dalla politica;
2, Dossetti è presbite nella consapevolezza che sarebbe stato necessario un legame stringente tra i princìpi esigenti della Prima Parte e una forma di governo più decidente nella Seconda,
con maggiori incentivi per la stabilità e l’efficienza dei governi e
con minori poteri di veto quali quelli derivanti dal bicameralismo
ripetitivo.
Qui sono decisive le pagine da 62 a 65 dell’intervista rilasciata ad
Elia e Scoppola insieme a Giuseppe Lazzati nel 1984 e pubblicata postuma
nel 2003, un quadro poi riconfermato dal lavoro ampio e recente di
Galavotti per Il Mulino. Senza conoscere bene il quale, come ha notato
in seguito sempre Pietro Scoppola (intervento in La Carta di tutti. Cattolicesimo italiano e riforme costituzionali 1948-2006,
Ave, 2006, in particolare p. 24) si fraintende radicalmente quanto poi
sostenuto dal 1994, ossia la contrarietà non al riformismo
costituzionale in sé ma a singole proposte non meditate ed estreme,
quali quella parasecessionista di Miglio della suddivisione dell’Italia
in tre cantoni confederati. Non sempre chi si richiama al dossettismo in
materia costituzionale sembra consapevole di ciò.
3, Dossetti non è attuale, come sostiene giustamente Pombeni nel suo volume di quest’anno per Il Mulino (Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano, p. 157) rispetto a un pregiudizio anti-liberale, pregiudizio che ha due facce.
La prima è quella già sottolineata da Scoppola a commento della
richiamata intervista (p. 131) e si riferisce ai rapporti tra stato e
società civile, dove l’esigenza di utilizzare le istituzioni statali
come unica leva realistica per il cambiamento sociale negli anni
dell’immediato dopoguerra diventa uno schema teorico per cui lo stato
sembra diventare il monopolista nel determinare il bene comune, anziché
solo una delle realtà che contribuiscono a determinarlo e tutt’altro che
sovraordinata.
Qui sta anche la radice di una certa freddezza nei confronti del testo della dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae, che è costruito a partire dall’impostazione del padre Murray sui limiti dello stato nel determinare il bene comune.
Dove la distinzione tra bene comune, compito dell’intero sistema
sociale, e ordine pubblico, compito dello stato, in cui non possono non
rientrare dopo la seconda guerra mondiale anche le funzioni essenziali
dello stato sociale interventista, debitamente rinnovate, nel senso più
della regolazione che non della gestione diretta.
La seconda è quella delle posizioni relative ai limiti delle libertà
individuali e al peso eccessivo di visioni tradizionalistiche della
natura umana che portarono i dossettiani alla Costituente, a differenza
dei degasperiani, a difendere convintamente e intransigentemente,
rifiutando anche varie possibili mediazioni, fino a soccombere a voto
segreto, la costituzionalizzazione dell’indissolubilità del matrimonio
civile (cfr. G. Sale, Il Vaticano e la Costituzione, Jaca Book, 2008, in particolare pp. 23-24, 104-114 e p. 227).
Ovviamente quando operiamo questi tentativi di discernimento sappiamo
sempre, come nella nota metafora, di essere nani sulle spalle dei
giganti. Noi restiamo nani e le grandi personalità restano dei giganti, a
prescindere da alcuni aspetti storicamente condizionati che forse loro
stessi, se avessero la possibilità di rivedere a posteriori,
contesterebbero per primi.
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