La Stampa 11.12.13
L’espressione che usa è singolare, ma rende l’idea - con
ricercata delicatezza - dell’attuale stato dei rapporti tra i due:
“Diffidenza decrescente”. Ecco quel che corre oggi tra Matteo Renzi e
Giorgio Napolitano; e quel che corre oggi, allora, segnala almeno un
cambiamento rispetto a quel che c’era ieri: quando la diffidenza -
evidentemente - era solida, percepibile e nient’affatto decrescente.
Il neo segretario del Pd è rimasto colpito: «Un’ora
faccia a faccia. Incontro serio, buono, importante». E forse anche il
Presidente tornerà a riflettere sulla lunga chiacchierata: cinquant’anni
di differenza, due mondi sideralmente distanti, in mezzo una guerra, la
ricostruzione, l’Italia che si rimette in piedi. Eppure, un punto
d’incontro lo si trova: il Paese va salvato di nuovo e, per farlo,
servono riforme e stabilità. E’ su questo che, alla fine, i due
s’intendono. Anche se il sindaco-segretario - tornato a Firenze - spiega
di non rinunciare alle sue convinzioni: «Credo che Napolitano vorrebbe
che il governo andasse avanti, molto avanti, altro che 2015... Io non
dico di no, però insisto: stabilità non può voler dire l’attuale
immobilismo».
Matteo Renzi è contento - diremmo perfino molto contento -
di queste sue prime 72 ore da segretario. E non è solo per come è andato
il tanto atteso incontro al Quirinale: «Il Presidente ha apprezzato,
credo, il fatto che io non intenda imporre miei modelli in materia di
legge elettorale - dice -. Ma contemporaneamente, ha chiaro che il Pd
non mollerà sulla necessità di fare una riforma. Quel che mi pare di
poter dire, al di là dell’incontro, è che molte cose sono già cambiate
in appena tre giorni. Mi sembra si vada affermando - conclude
soddisfatto - l’idea che la riforma vada fatta in tempi molto brevi, e
credo sia ormai deciso che se ne occuperà la Camera: per cui Giachetti
può interrompere il suo digiuno. E questa è quella che si può chiamare
una buona notizia».
Bene con Napolitano, dunque. E bene anche sulla via della
riforma della legge elettorale, lungo la quale - però - Renzi si muove
con «crescente diffidenza». «Temo che Angelino Alfano voglia perder
tempo e menare il can per l’aia - dice il sindaco-segretario -. Io con
lui parlerò, figurarsi, ma non mi lascerò incantare e nemmeno
rallentare: ho una mia exit strategy, un canale aperto anche con
Berlusconi e Grillo, che la riforma adesso la vogliono davvero. E se il
Nuovo centrodestra divaga, vuol dire che lavoreremo con qualcun altro».
Beppe Grillo, già. Il comico-leader ha fiutato il pericolo e
da un po’ di tempo ha fatto di Matteo Renzi il suo nemico numero uno:
si può tranquillamente dire che l’avversione è reciproca, e che quel che
si profila - per i prossimi mesi - potrebbe somigliare a un vero e
proprio duello rusticano. Il segretario del Pd non ha affatto gradito,
per esempio, l’ultima uscita del leader Cinque Stelle che lo ha sfidato a
rinunciare al finanziamento pubblico, come ha già fatto il suo
movimento. Renzi gli ha prima replicato con un tweet: «Caro Grillo ti
rispondo nei prossimi giorni con una sorpresina che ti sto preparando».
Ma la sorpresina, in realtà, è già pronta...
«Credo proprio che gli risponderò da Milano, all’Assemblea
nazionale -dice -. Mi chiede di firmare una lettera di rinuncia al
finanziamento pubblico? Troppo semplice. Facciamo le cose per bene:
firmi lui una lettera nella quale dice sì ad una legge elettorale
maggioritaria, alla riforma del Titolo V, all’abolizione del Senato e
del finanziamento pubblico ai partiti. Vediamo se è pronto. Ma quel che è
più importante è che deve mettersi in testa anche lui che l’agenda
delle cose da fare la detta il Pd, e che non staremo più a rincorrere né
lui né altri».
Il piglio di Renzi non sembra cambiato: il nuovo ruolo di
segretario non ha smorzato la nettezza delle sue posizioni e il tono -
al solito - un po’ guascone. E’ contento della segreteria messa in
campo: «Più donne che uomini, come promesso: non era mai successo prima.
E poi tutti bravissimi. Sono impressionato dalla concretezza della
Serracchiani, dall’impegno della Boschi, dalla lucidità di Federica
Mogherini...»”. E con un piccolo strappo alla riservatezza con la quale
ha circondato il suo colloquio con Napolitano, dice «il Presidente era
molto curioso di saperne di più - racconta -. Alcuni dei giovani messi
dentro li conosceva, la Mogherini, la Boschi... di altri ha voluto
sapere».
La Segreteria, dunque il Partito, il Pd. Matteo Renzi è ancora in attesa di sapere
se Cuperlo ci sta davvero ripensando e alla fine accetterà la carica di
Presidente dell’Assemblea nazionale. «So che ci ragiona - dice Renzi -.
Sul momento mi aveva detto di no, ma nella sua componente si è aperta
una complicata discussione e alla fine - io lo spero - potrebbe
ripensarci. Comunque sia, non è che accetterò qualunque nome mi verrà
proposto. So che D’Alema è furioso, per esempio, perchè ho annunciato
che non lo ricandiderò alle Europee. Ma si volta pagina, e non sono
preoccupato: anche in Direzione, su 120 membri una ottantina almeno è in
maggioranza con me».
Tante partite da giocare contemporaneamente: e nessuna
particolarmente semplice. Renzi non è spaventato, ma non nasconde - in
un momento di sincerità - che il livello si è fatto assai più alto.
«Fino a ieri, parliamoci chiaro, giocavo a tennis: cioè, buttavo la
palla dall’altra parte del campo. Adesso è una partita a scacchi.
Difficile. E se sbagli una mossa...». Già, se sbagli una mossa è un
guaio. Chiedere ai predecessori: da Veltroni a Bersani non potranno che
confermarlo...
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