Napolitano e Letta scongiurano una crisi immediata. Ma Berlusconi
non ha alcun salvacondotto, e il Pd non ha tempi certi per un leader:
sono fattori di instabilità fortissima
Rientra l’allarme immediato sul governo. L’asse tra Napolitano e
Letta si conferma centro di gravità permanente mentre intorno tutto
balla. Il capo dello stato getta secchi di acqua almeno tiepida sui
bollenti spiriti dei berlusconiani: domenica si sono sfogati – com’era
anche giusto e comprensibile – ora si ritrovano con gli stessi identici
problemi della serata della sentenza, avendo intanto fatto un passaggio
al Quirinale buono per l’immagine ma inconcludente.
Letta fa in pieno la sua parte, incassando da Bankitalia il segnale,
fondamentale, che la ripresa è davvero possibile a patto che la politica
non faccia pazzie. A fronte delle nevrosi dei partiti, il governo si
attesta sui fondamentali di un’economia che non può essere lasciata allo
sbando. Non è un atteggiamento diverso da quello che consentì a Monti
di arrivare indenne (dal suo punto di vista) alla fine della missione
assegnatagli.
Proprio il fresco precedente montiano innervosisce il Pd. Lo dimostra
una certa esposizione critica sul governo da parte di Bersani: colui
che è convinto di aver pagato di persona per il senso di responsabilità
impostogli da Napolitano.
Accantonato il tema del collasso immediato della legislatura, il
punto della direzione Pd sarà proprio questo: come evitare che
Berlusconi – messo oggi perfino peggio di come stava dopo la cacciata da
palazzo Chigi – possa diventare di fatto, di nuovo, il socio più
esigente della maggioranza; quello che sentendosi in credito possa
permettersi di pretendere compensazioni (sull’Imu, sulla giustizia…),
esponendo il Pd più di quanto già non sia al logoramento interno e a
durissimi attacchi esterni.
C’è una sola risposta possibile per il Pd. Passare dall’attendismo
all’offensiva. Sui temi del governo e ancor di più su quelli
parlamentari, a partire dalla riforma elettorale.
È evidente che se il Pd avesse già una data e regole certe per le
primarie starebbe molto meglio, mentre ormai è sicuro un ulteriore
rinvio. A questo punto, arrivati al 6 agosto, i democratici devono
sperare di non pagare un prezzo troppo alto ai bizantinismi e agli
ostruzionismi messi in campo per frenare le aspirazioni non solo di
Renzi ma di tutti i candidati.
Oggi anche Letta sarebbe più tranquillo su questo lato della
maggioranza, se il Pd potesse dirsi un partito fiducioso, competitivo,
in procinto di darsi una leadership forte: i più temibili fattori di
instabilità, Pdl docet, sono proprio incertezza e paura.
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