martedì 6 agosto 2013

Pdl e Pd, il pericolo di due partiti senza certezze

Stefano Menichini
Europa    

Napolitano e Letta scongiurano una crisi immediata. Ma Berlusconi non ha alcun salvacondotto, e il Pd non ha tempi certi per un leader: sono fattori di instabilità fortissima
Rientra l’allarme immediato sul governo. L’asse tra Napolitano e Letta si conferma centro di gravità permanente mentre intorno tutto balla. Il capo dello stato getta secchi di acqua almeno tiepida sui bollenti spiriti dei berlusconiani: domenica si sono sfogati – com’era anche giusto e comprensibile – ora si ritrovano con gli stessi identici problemi della serata della sentenza, avendo intanto fatto un passaggio al Quirinale buono per l’immagine ma inconcludente.
Letta fa in pieno la sua parte, incassando da Bankitalia il segnale, fondamentale, che la ripresa è davvero possibile a patto che la politica non faccia pazzie. A fronte delle nevrosi dei partiti, il governo si attesta sui fondamentali di un’economia che non può essere lasciata allo sbando. Non è un atteggiamento diverso da quello che consentì a Monti di arrivare indenne (dal suo punto di vista) alla fine della missione assegnatagli.
Proprio il fresco precedente montiano innervosisce il Pd. Lo dimostra una certa esposizione critica sul governo da parte di Bersani: colui che è convinto di aver pagato di persona per il senso di responsabilità impostogli da Napolitano.
Accantonato il tema del collasso immediato della legislatura, il punto della direzione Pd sarà proprio questo: come evitare che Berlusconi – messo oggi perfino peggio di come stava dopo la cacciata da palazzo Chigi – possa diventare di fatto, di nuovo, il socio più esigente della maggioranza; quello che sentendosi in credito possa permettersi di pretendere compensazioni (sull’Imu, sulla giustizia…), esponendo il Pd più di quanto già non sia al logoramento interno e a durissimi attacchi esterni.
C’è una sola risposta possibile per il Pd. Passare dall’attendismo all’offensiva. Sui temi del governo e ancor di più su quelli parlamentari, a partire dalla riforma elettorale.
È evidente che se il Pd avesse già una data e regole certe per le primarie starebbe molto meglio, mentre ormai è sicuro un ulteriore rinvio. A questo punto, arrivati al 6 agosto, i democratici devono sperare di non pagare un prezzo troppo alto ai bizantinismi e agli ostruzionismi messi in campo per frenare le aspirazioni non solo di Renzi ma di tutti i candidati.
Oggi anche Letta sarebbe più tranquillo su questo lato della maggioranza, se il Pd potesse dirsi un partito fiducioso, competitivo, in procinto di darsi una leadership forte: i più temibili fattori di instabilità, Pdl docet, sono proprio incertezza e paura.

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