L’ultima volta che i negoziatori israeliani e palestinesi si sono
seduti allo stesso tavolo per dei colloqui di pace prolungati, durante
la seconda amministrazione Bush, lo sforzo per cercare un compromesso è
stato grandissimo.
Oggi dovrà essere ancora più grande, scrive il Washington Post.
Negli ultimi cinque anni, la popolazione degli insediamenti israeliani
in Cisgiordania è cresciuta del 20 per cento, e i politici favorevoli
all’occupazione sono diventati sempre più influenti.
In Cisgiordania i coloni hanno costruito musei, università, bar e centri commerciali. Edifici pensati per durare nel tempo.
Il 29 luglio, primo giorno della riapertura dei negoziati, il
segretario di stato John Kerry ha incontrato le prime difficoltà. Dopo
una cena con i rappresentanti delle due parti (la ministra della
giustizia Tzipi Livni e il diplomatico palestinese Saeb Erekat) Kerry ha
detto: “Non è un segreto che questa sia una trattativa difficile. Se
fosse stata facile, si sarebbe risolta molto tempo fa”.
I nodi da sciogliere sono molti: come risolvere i problemi di
sicurezza di Israele, come dividere Gerusalemme in modo che diventi la
capitale palestinese, cosa fare con i rifugiati palestinesi e in che
modo disegnare i confini del nuovo stato palestinese.
California o Cisgiordania? Ma
l’aumento degli insediamenti è un problema particolarmente complesso. In
Cisgiordania vivono dai 340mila ai 360mila israeliani, secondo il
governo di Tel Aviv. E altri 300mila vivono a Gerusalemme est, che i
palestinesi vorrebbero trasformare nella loro nuova capitale.
Negli insediamenti vivono soprattutto famiglie del ceto medio, che
abitano in ville in pietra bianca e mattoni rossi. Case che sembrano
uscite più dal sud della California che dalla Terra santa.
“Gli israeliani parlano di pace, ma sui territori occupati si
comportano in modo diverso. Noi vogliamo la pace, ma gli insediamenti ci
privano della nostra terra”, ha detto Yousef Abu Maria, portavoce del
Movimento popolare, un gruppo che protesta contro l’occupazione
israeliana.
Gli Stati Uniti e altri stati, basandosi sul diritto internazionale,
considerano gli insediamenti israeliani illegali, perché sono costruiti
su territori occupati. E nonostante il loro aumento, sono considerati
controversi perfino in Israele.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu deve collaborare con una
coalizione che ha al suo interno molti politici che sono a favore degli
insediamenti. “Mentre i negoziati vanno avanti, noi continueremo a
costruire a Gerusalemme e in Cisgiordania”, ha dichiarato Naftali
Bennett, ministro israeliano dell’economia e direttore del Yesha
Council, un’organizzazione che gestisce le costruzioni nei territori
occupati.
“Da un punto di vista psicologico, non si può
tornare indietro. Noi siamo qui per rimanere. Smantellare gli
insediamenti ci spezzerebbe la schiena. Sarebbe la fine di Israele.
Sarebbe la fine del sionismo”, dice Dani Dayan, leader dello Yesha
Council.
Internazionale 1 agosto 2013
Internazionale 1 agosto 2013
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