La Stampa 14/06/2013
massimo gramellini
Appena ho letto della consigliera leghista che augura alla ministra
Kyenge di sperimentare uno stupro sulla propria pelle, così potrà
rendersi conto di quanto siano brutti sporchi e cattivi i suoi amici
neri, per un attimo ho temuto che in Italia fosse arrivato il razzismo.
Poi ho guardato le prime pagine di un paio di giornali che avevo sul
tavolo, dedite a sbertucciare Kyenge per una strada presa contromano
dalla sua scorta, e mi sono tranquillizzato. In Italia il razzismo non
esiste. Esiste il razzismino.
La caratteristica del razzismino è che i suoi adepti, i razzistini,
pensano di essere dei dolci al ripieno di marmellata su cui la vita ha
versato qualche goccia di liquore (estero), ma non abbastanza da
comprometterne la bontà. I razzistini non sono razzisti: solo non
sopportano le «negrette» che ambiscono a occupare un ruolo diverso dalla
Mamie di «Via col vento». Ai loro occhi la ministra Kyenge non ha nulla
che non va, a parte il fatto che è donna, che è nera e che vuole dare
la cittadinanza a chi è cresciuto in Italia. Possibile che, con tanti
disoccupati in giro, non ci fosse un italiano verace in grado di
occuparne la poltrona? Questo non è razzismo, assicura il razzistino, ma
buonsenso. E chiamare la ministra Nero di Seppia, ironizzare sulla sua
abbronzatura, disegnarla mentre sbuccia banane in posizione da
orangutang: neanche questo è razzismo, ma buonumore. Così in due mesi,
tra una sessione di buonsenso e un’altra di buonumore, siamo arrivati
all’istigazione alla violenza carnale: da parte di una donna, per di
più. Forse si avvicina il momento di dire ai razzistini che ci hanno
rotto definitivamente le palline.
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