La Stampa 28/06/2013
Siglata tra Palazzo Chigi e il Quirinale
dove il condannato Berlusconi era stato solennemente ricevuto
all’indomani della pesante sentenza per il caso Ruby - e alla vigilia
dell’udienza in Cassazione sul lodo Mondadori e della probabile
incriminazione per la compravendita di senatori in epoca ultimo governo
Prodi - è durata appena 24 ore la tregua che doveva consentire al
governo di riprendere fiato e a Letta di presentarsi al vertice europeo
senza tenere l’orecchio incollato al cellulare per ricevere cattive
notizie dall’Italia.
Il presidente del consiglio ha avuto appena
il tempo di concentrarsi per qualche ora sui delicati dossier che sono
al centro dell’incontro tra i leader, che subito la sua attenzione è
stata richiamata in Italia dal nuovo scontro apertosi nella maggioranza
sulla giustizia e sui provvedimenti per l’occupazione. Va detto che con
la levata di scudi contro l’emendamento del Pdl, che punta a
ridisegnare, in caso di riforme istituzionali, il ruolo del Consiglio
superiore della magistratura, il Pd ha voluto mettere le mani avanti e
far sentire il crepitio di un fuoco di avvertimento. Se davvero - e sarà
da vedersi, in questo clima - il Parlamento dovesse mettere mano ai
poteri della Camera e del Senato, come si propone di fare, e se un
lavoro del genere, anche senza cambiare del tutto l’aspetto
costituzionale del nostro sistema, comportasse un rafforzamento della
figura del premier o addirittura l’elezione diretta del Presidente della
Repubblica, non si capisce come da una ristrutturazione del genere
potrebbe restare escluso l’organo di autogoverno dei giudici. Ma tant’è:
i rapporti tra i due principali partiti della maggioranza sono
improntati a un tale clima di sospetto che al minimo stormir di fronde
si incrociano raffiche di polemiche.
Non è stata da meno anche l’accoglienza che il Pdl, non
tutto, ma a un certo livello, ha tributato ai provvedimenti usciti da
Palazzo Chigi mercoledì. Il capogruppo dei deputati Brunetta ha
sostenuto che la sospensione dell’aumento dell’Iva è stata adottata
senza trasparenza sulle coperture (attacco al ministro dell’Economia
Saccomanni), mentre la sua vice Gelmini spiegava che il decreto sul
l’occupazione giovanile realizzava solo in parte una proposta lanciata
durante la campagna elettorale dal centrodestra. Per evitare che il
consiglio dei ministri preparato con tanta cura, e tenuto alla vigilia
del vertice di Bruxelles anche per dimostrare la capacità riformatrice
del proprio governo, apparisse come una specie di gioco delle tre carte,
Letta è dovuto intervenire personalmente dall’estero per difendere
Saccomanni e reagire alle accuse di Brunetta.
Ora, a parte i risultati che potrà conseguire con la sua
missione europea (segnata, come sempre, da un avvio interlocutorio e da
un veto del primo ministro inglese Cameron che non fa ben sperare), ci
si chiede quanto potrà andare avanti ancora il governo su una strada
così accidentata. Il problema non è la durata (sulla quale, in mancanza
di alternative, sia Berlusconi sia Epifani si sono impegnati fino
all’altro ieri), ma la possibilità e la capacità di realizzare il
programma su cui era nato l’accordo delle larghe intese. Un elenco
ambizioso di riforme improcrastinabili, dall’economia alle istituzioni,
non prive di conseguenze sociali, che solo un accordo tra (ex?)
avversari poteva consentire di varare, suddividendone i costi politici e
preparandosi a incassarne i dividendi al momento dell’uscita
dell’Italia dalla crisi. Invece, finora, s’è preferito procedere di
rinvio in rinvio, dall’Imu all’Iva alla Grande Riforma, spostando
all’autunno il momento della vera resa dei conti e dell’eventuale, in
caso di rottura, ritorno alle urne.
Pressati in questa gimcana dai rispettivi
partiti - uno, il Pd, in corsa verso il congresso, l’altro, il Pdl,
precipitato verso una rifondazione del marchio e dello spirito
«rivoluzionario» di Forza Italia - Letta e Alfano hanno dimostrato fin
qui una personale e straordinaria abilità a districarsi tra i veti
incrociati e a tenere in piedi un esecutivo, nato traballante, e alle
prese con un’opposizione trasversale e strisciante che attraversa tutta
la larga maggioranza di cui dispone. Ma alla vigilia della lunga estate
in cui una volta e per tutte si giocherà la sopravvivenza, forse è
lecito chiedersi se un governo come questo può accontentarsi di tirare a
campare. E soprattutto di campare così.
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