Chissà cosa ci riserva ora Silvio Berlusconi. Sfonderà le porte a calci,
o farà lo statista? Sceglierà il ruolo di Polifemo o quello di
Andreotti? La differenza non sarà di poco conto per il paese. Ma di
maggior conto ancora sarà per lui. La decisione dei giudici della
Consulta a favore del tribunale di Milano che rifiutò di riconoscere il
legittimo impedimento di Berlusconi, è un gravissimo colpo per il leader
del Pdl che ora affronta in posizione di totale svantaggio un lungo
tunnel processuale che deciderà il modo come si chiude la sua pagina
politica e personale.
Eppure, per quando dura, la decisione della Consulta offre a Berlusconi
anche una seconda chance. Il messaggio che i giudici gli inviano è in
fondo semplice: gli ricordano che esiste la giustizia e che questa si
fonda su strette regole. Non si può alternativamente rispettarle e
romperle, non si può seguirle e giocarci. Non si può, in altre parole,
per dirlo con una definizione ormai famosa, difendersi
contemporaneamente nel processo e dal processo. In questo senso la
decisione della Consulta è anche un invito, nonché una (possible) via
d'uscita: accetti Berlusconi le regole, accetti il percorso, sia
innanzitutto un uomo politico, una personalità dello Stato e con
tranquillità accetti di essere un imputato come gli altri. Senza
scorciatoie, furberie, ed evasione dalle responsabilità. Faccia,
insomma, come un altro grande imputato di anni non lontani, Giulio
Andreotti, appunto, la cui impassibile accettazione del processo lo ha
(probabilmente) salvato da un destino pubblico, oltre che privato, ben
peggiore. E (forse) proprio in questa accettazione c'è la seconda chance
che da sempre Silvio cerca. Magari non la agognata assoluzione, ma di
sicuro la valutazione che del suo operato resterà nel paese.
Non devo essere la sola a pensare queste cose, se già si è formata
intorno all'ex Premier un nucleo di alleati, fra cui Ferrara, e
l'avvocato Coppi, che gli consiglia di tenere una linea di nervi fermi, e
di distinguere processi e politica.
Tuttavia, non è facile immaginare il Cavaliere nelle vesti di chi, come
Andreotti fece con Caselli, si presenta obbediente seduta dopo seduta ad
ascoltare immobile la corte. La partita che Berlusconi gioca non è,
inoltre, solitaria. A differenza di Andreotti - che aveva tanti seguaci
ma nessun accento populista, e detestava ogni forma di esibizionismo -
il leader Pdl ha cresciuto una intera classe dirigente e raccolto tutti i
suoi successi elettorali sulla mobilitazione di piazza contro o
giudici, e, in generale, contro lo Stato.
Venti anni di suoi successi sono stati creati intorno all'invito a
contestare un sistema statale considerato "illiberale" ,"iniquo" ,
"ingiusto". Che si trattasse di giustizia, ma anche di tasse e regole in
generale. La "rivolta" è talmente parte del dna del movimento
berlusconiano che appare molto difficile oggi per lui far ricorso a un
"raffreddamento" dell'ultimo minuto. In fondo la classe dirigente del
suo partito è fatta dal quel centinaio di senatori e deputati, fra cui
ex ministri, che solo tre mesi fa ha sfilato al tribunale di Milano
contro Ilda Boccassini.
Vero è che in questo momento il Pdl partecipa al governo e dunque ha
molto da perdere nel caso ci sia uno scontro politico in appoggio al suo
leader. Ma è anche vero che dentro il Pdl gli scontenti della
partecipazione al governo sono molti e sono per lo più una vecchia
guardia che è in caduta libera, che non ha da perdere molto insomma. Al
contrario ha molto da guadagnare da un ritorno alle vecchie logiche di
piazza. Quale di queste leve userà, dunque, Silvio? Sceglierà una via
diversa o farà come sempre l'apprendista stregone di improbabili piazze,
il giocoliere fra regole e disobbedienza? Vedremo. In ogni caso, c'e un
consiglio che vale per tutti: allacciate le cinture.
Lucia Annunziata
La Repubblica - 19 giugno 2013
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