I verdi provano a riorganizzarsi. Il Pd li ha delusi o tagliati
fuori, Grillo è stato un turbine senza concretezza. Forse Renzi dovrebbe
interessarsene.
La notizia rischia di essere rubricata alla voce
“riposizionamenti di ceto politico”. Nasce una nuova formazione, un
partitino ecologista nel quale confluiscono alcuni rivoli
dell’ambientalismo compresi i Verdi ufficiali: ennesima tappa di una
peregrinazione che non ha mai trovato la terra promessa da quando,
nell’ormai preistorico 1985, apparvero in Italia le prime liste col sole
che ride.
La definizione può apparire ingenerosa. Pazienza: la generosità non
esiste in politica, e in effetti i promotori del nuovo gruppo Green
Italia sono esponenti di spicco dell’ambientalismo italiano rimasti
tagliati fuori per un motivo o per un altro dal terremoto elettorale di
febbraio. Ora puntano a unire le forze nella prospettiva delle Europee
2014 e della possibile fine anticipata della legislatura.
Egualmente però sarebbe sbagliato sottovalutare l’iniziativa. Va
considerato il terreno politico-elettorale che si vuole provare a
picchettare. Un terreno lasciato libero dal Pd, non presidiato con
credibilità da Sel, e che in febbraio Cinquestelle ha letteralmente
razziato, raccogliendo messe di voti (giovanili, in particolare) senza
poi dare risposta alla domanda di concretezza tipica dell’opinione
ecologista.
È impossibile dire oggi se questo spicchio di mercato elettorale
abbia una consistenza, né se nuovi simboli possano risultare
convincenti. Il punto è un altro: in una stagione di grandi ripensamenti
collettivi e individuali sugli stili di vita, sui modi di produrre e di
consumare e sulla sostenibilità di interi comparti industriali (perfino
con risvolti drammatici, dall’Ilva al Sulcis), è possibile per un
grande partito “a vocazione maggioritaria” come il Pd cedere il campo?
Alle ultime elezioni c’è stata la falcidia dei verdi nelle liste
democratiche: non interessavano a Bersani (uomo di altra cultura), non
hanno convinto Renzi, non sono neanche nel cuore di Enrico Letta come si
deduce dalla scelta per il ministero dell’ambiente di un dirigente Pd
bravo e competente ma in materie assai diverse.
Non è tanto un problema di persone: chi rimane tagliato fuori deve
anche interrogarsi su se stesso. È però un enorme problema di politiche,
oggi portate avanti nel Pd da pochi tenaci sopravvissuti (che domani si
riuniscono, come risposta alla presentazione della nuova sigla).
Sicuramente Matteo Renzi considera se stesso il sindaco più
ambientalista d’Italia, testimonial della qualità verde del “suo” Pd. Ma
i tempi cambiano, Grillo sta lasciando “liberi” milioni di voti anche
con questo tipo di interessi: fossi al suo posto darei un occhio a non
far crescere troppa concorrenza in questo ambiente.
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