La Stampa 12/06/2013
Edward Snowden: solo 29 anni, la faccia pulita da ragazzo studioso,
un tono pacato e privo degli altisonanti accenti ideologici che siamo
abituati ad associare alla contestazione del potere.
Una lucida consapevolezza dei rischi che comporta la
sua decisione di rivelare il più top secret fra tutti i segreti della
National Security Agency, l’agenzia di spionaggio elettronico degli
Stati Uniti, oggi molto più importante della stessa Cia.
Non è il soldatino Bradley Manning, prodotto della cultura hacker e
autore di una operazione di «trasparenza illegale» quantitativamente
colossale piuttosto che politicamente mirata. Assomiglia piuttosto a
Daniel Ellsberg, responsabile alla fine degli Anni 60 della fuga dei
documenti successivamente pubblicati come «Pentagon Papers» – documenti
che rivelavano illegalità e inconfessabili falsificazioni dietro la
guerra americana in Vietnam. Ma Ellsberg, intervenendo sul «Guardian»,
pur riconoscendo i paralleli fra la sua azione di allora e il caso
attuale sottolinea che oggi la questione è più di fondo, più
clamorosamente cruciale, in quanto si riferisce non a una determinata
politica, per quanto drammaticamente importante come quella che ha
portato alla lunga guerra americana nel Sud-Est asiatico, ma allo stesso
funzionamento del potere, ai suoi strumenti, alle sue regole - o
piuttosto alla mancanza delle stesse.
Ma chi è Edward Snowden? Già fioriscono nei media i dubbi, le
dietrologie, i sospetti. Ma sarà davvero così «pulito» e «idealista»
come sembra? E David Brooks, uno dei pochi columnists conservatori del
New York Times, lo attacca senza mezzi termini definendolo un traditore e
condannando la sua scelta di operare secondo i propri principi e non
sulla base del dovere di lealtà verso Stato, datore di lavoro,
colleghi.
L’interesse del caso dipende in effetti dal fatto che esso solleva
problemi essenziali sia di natura politica che morale. Sono problemi non
solo americani, ma che si presentano ovunque, dato che ovunque – tanto
nei sistemi democratici che in quelli autoritari - il rapporto fra
cittadino e potere risulta sempre più problematico.
Ciò soprattutto in un momento in cui gli strumenti forniti dalla
crescita esponenziale degli apparati della tecnologia elettronica
rendono la distopia futurista di George Orwell (il «Grande Fratello» che
tutto vede, tutto spia, tutto controlla) o quella del romanzo «Noi» di
Evgheny Zamyatin (che nel 1920 descriveva un sistema totalitario in cui
tutti dovevano vivere in abitazioni di vetro) molto al di sotto della
realtà in cui viviamo e siamo sempre più destinati a vivere.
Eppure vi è molto di tipicamente americano, ma si potrebbe dire
anglosassone, in tutta questa vicenda. In primo luogo va sottolineato
che Snowden non ha niente di rivoluzionario, di eversivo. Anzi, sembra
che l’unico riferimento politico che lo caratterizza sia quello di una
sua donazione alla candidatura presidenziale di Ron Paul, un
«libertario», ovvero qualcuno che secondo i nostri parametri politici
viene chiaramente definito come «di destra».
Il nemico da battere, per Snowden, non è una determinata politica,
come nel caso di Daniel Ellsberg e dei «Pentagon Papers», ma piuttosto
l’incontrastato, pervasivo, illegale potere di intrusione dello Stato
nella vita privata dei cittadini.
È qui che emergono con chiarezza i principi che stanno alla base
della cultura politica anglosassone, individualista e tendenzialmente
sospettosa del potere. Una cultura non solo liberale, ma appunto
libertaria.
Vengono in mente le indimenticabili pagine di Isaiah Berlin sulla
distinzione fra «libertà negativa» e «libertà positiva». La prima tesa a
tutelare una sfera individuale inviolabile di cui fa parte la stessa
privacy; la seconda, principio ispiratore della attività politica, della
partecipazione alla cosa pubblica. Berlin, pur sottolineando che
entrambe le dimensioni sono essenziali per la libertà umana, non fa
mistero di una sua certa preferenza per la libertà negativa, e arriva a
scrivere: «Un declino del senso di privacy segnerebbe la morte della
civiltà».
Espressioni forti e nello stesso tempo profondamente, caratteristicamente anglosassoni.
Snowden è quindi un libertario, e nello stesso tempo un dissidente.
Una figura ben diversa da quella del rivoluzionario, il quale lotta non
solo contro uno status quo, ma per contribuire ad instaurare un diverso
sistema in cui possa regnare la giustizia.
Il dissidente è quello che dice di no, che non ha in tasca i piani
per una società migliore ma che vede le storture di quella presente e
non può accettarle.
«Ho visto cose così enormi, così inquietanti – ha detto Snowden in
una sua intervista trasmessa dalla televisione - che non ho potuto agire
diversamente».
Il dissidente non costruisce partiti politici, non elabora strategie
per la conquista del potere, e si limita alla solidarietà con un gruppo
ristretto di persone affini.
Il suo movente è morale, anche se gli effetti della sua azione, come in questo caso, sono profondamente politici.
Ma quali effetti, in concreto, ci potranno essere ora, dopo le clamorose rivelazioni di Snowden?
Oltre alle ripercussioni sulla persona, certamente a rischio e
destinato a una vita di esule se non a finire in una prigione federale,
vi saranno certo effetti politici. Non certo uno smantellamento delle
strutture di sorveglianza della Nsa, ma quanto meno una più forte
consapevolezza, nei cittadini, che il problema esiste, ed è macroscopico
e anche inquietante.
Gli Stati – tutti gli Stati – non hanno mai abbandonato la pretesa di
sapere, di controllare, di prevenire le minacce alla sicurezza, ma
quello che è successo negli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 è
davvero unico. Lo è in primo luogo per gli straordinari mezzi a
disposizione delle agenzie di intelligence americane. Basti pensare che è
in corso nello stato dell’Utah la costruzione di una enorme struttura
di raccolta, archiviazione ed analisi di dati raccolti – in tutto il
mondo, e negli stessi Stati Uniti, ora lo sappiamo con certezza –
inserendosi in tutte le comunicazioni elettroniche. Tutte. E si parla
della capacità di immagazzinare una quantità di comunicazioni la cui
cifra è difficile da definire (i testi americani parlano di
«septillions»), ma che si può indicare con un 1 seguito da ventitré 0.
Obama si trova oggi a dover fare i conti con un’ennesima sfida della
sua contrastata presidenza: quella di spiegare ai cittadini in che
misura il sistema che è stato rivelato da Snowden sia compatibile con la
Costituzione e soprattutto come si possa giustificare che il meccanismo
di intelligence istituito per difendere il Paese dalle minacce esterne
possa essere usato per spiare la vita privata dei cittadini americani.
La sua prima reazione, a caldo, è stata quella di dire che non è
possibile avere nello stesso tempo il cento per cento di privacy e il
cento per cento di sicurezza: tipica affermazione di un Presidente con
un cuore certamente progressista, ma nello stesso tempo profondamente
centrista sotto il profilo politico. Ma il problema è appunto quello
dell’equilibrio che si può e si deve mantenere all’interno di questa
irrisolvibile tensione bipolare.
Le rivelazioni di Snowden non fanno infatti emergere l’esistenza
negli Stati Uniti di un sistema equilibrato, ma uno in cui le esigenze
di sicurezza stanno avendo il sopravvento in modo radicale su quelle di
privacy, e anche su quelle regole di legalità e controllo che sono alla
base di qualsiasi sistema basato sul rispetto delle libertà civili. Il
«Patriot Act» assomiglia un po’ troppo alla copertura legale di uno
schmittiano «stato di eccezione» permanente. In fondo, il problema non è
molto diverso da quello emerso con Guantanamo, Abu Graib, la tortura
dei terroristi (o sospettati tali).
Gli americani danno alla privacy, alla «libertà negativa» di Isaiah
Berlin, un’importanza molto maggiore di quella riservatale in altre
culture, come ad esempio la nostra, ma il problema potrà solo essere
affrontato e messo sotto controllo, se non risolto, solo dall’esercizio
della «libertà positiva», da quella politica che comporta l’azione dei
cittadini, il ruolo della Costituzione e delle leggi, i checks and
balances che sono l’essenza del pluralismo.
Snowden – il dissidente libertario – ha dato un potente allarme.
Qualcuno dovrebbe ora farsi carico del problema con chiarezza
intellettuale e coraggio politico.
Ma non sarà certo facile.
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