Il voto delle comunali nasce soprattutto dal giudizio sul governo
delle città. Ma il dato è talmente omogeneo in tutta Italia da avere un
evidente significato nazionale. Che è terribile per il Pdl.
Tutti alla ricerca di un significato politico nazionale dell’impressionante risultato delle elezioni comunali.
Tutti meno i cittadini di Roma, Brescia, Treviso, Viterbo, Imperia,
Avellino, che dopo aver scelto senza equivoci il centrosinistra laddove
governava il centrodestra esigono ora inversioni di rotta altrettanto
radicali nel governo delle città. Ignazio Marino e i suoi colleghi
neo-sindaci hanno davanti a sé, in un tempo di risorse sempre più
scarse, l’onere di rispondere a una domanda urgente e drammatica, di cui
i portatori più espliciti non sono neanche coloro che li hanno votati,
bensì quella maggioranza di elettori che non ha votato affatto.
Quando si parla di città, il dato del giudizio sul governo locale è
prioritario, imprenscindibile. Se Alemanno non fosse stato nell’opinione
di tutti il peggiore sindaco della storia recente di Roma, non avrebbe
perduto oltre la metà dei voti fra il ballottaggio 2008 e ieri.
Quando però i singoli risultati comunali hanno una tale omogeneità
dal Nord al Sud, dalle città tradizionalmente di sinistra (e dalla
sinistra maltrattate, come Siena e Barletta) alle roccaforti nordiste di
Pdl e Lega, allora cercare un significato nazionale non è peccato.
L’impatto è soprattutto sul Pdl. L’esodo dei suoi elettori prosegue
in dimensioni bibliche. Svanisce l’illusione ottica e psicologica della
«rimonta di Berlusconi», che non è avvenuta in realtà neanche nelle
politiche. Gli italiani di centrodestra svaniscono nella nebbia. Non
tornano indietro, si allontanano velocemente da Grillo, si tengono alla
larga dal Pd. Se nessuno dice che penalizzano il Pdl perché sta al
governo con Letta, non è solo perché si sa che Berlusconi non intende
(tanto meno da oggi) staccare alcuna spina; è soprattutto per la
sensazione che la crisi di consenso a destra sia molto più antica e
profonda di qualsiasi larga intesa.
All’opposto, la fiducia e la generosità verso il Pd si dimostrano più
solide di quanto appaia a chi vive tra pagine di giornali e pagine di
Facebook.
Certo, anche qui, l’esodo è massiccio. Fa bene Epifani a voler
rimanere «coi piedi per terra». Ma se è vero che, a risultati
rovesciati, staremmo qui a recitare il de profundis per un
governo che racconteremmo come rinnegato dagli elettori del Pd, allora
davanti ai risultati effettivi è giusto pensare che la necessità del
«governo di necessità» alla fine sia stata, se non salutata con
entusiasmo, almeno compresa.
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