giovedì 13 giugno 2013

"I bersaniani preferivano Marini a Prodi: difatti hanno perso.

di Gad Lerner 
Del documento della corrente bersaniana del Pd firmato da Stefano Fassina insieme a Alfredo D’Attorre e Maurizio Martina, merita di essere sottolineato un passaggio rivelatore. Là dove i tre condannano l’indisciplina dei gruppi parlamentari nel corso delle votazioni per il Quirinale -cioè il dissenso apertamente manifestato sulla candidatura Marini, e poi il tradimento di Prodi nel segreto dell’urna- segue una precisazione nella quale definiscono nettamente preferibile la prima ipotesi di Bersani: cioè l’accordo raggiunto con Berlusconi sulla nomina di Franco Marini alla presidenza della Repubblica. Nella convinzione che poi Marini avrebbe senz’altro nominato Bersani presidente del Consiglio, secondo i patti di spartizione su cui hanno sempre concepito lo stesso Partito Democratico. Quanto a Prodi, relegano a subordinata seconda scelta la sua indicazione, ricorrendo all’abusata formula della “candidatura divisiva”.
Ecco, io credo che i tre portavoce della corrente Bersani ben rappresentino in questo bilancio che ha il pregio della sincerità, quali siano la natura e la cultura politica della “ditta” d’appartenenza. Nell’ordine: per loro era prioritario trovare l’accordo con Berlusconi sul Quirinale, non hanno neanche preso in considerazione di puntare su candidati a lui sgraditi ma invece rappresentativi della “spinta al cambiamento” di cui pure si riempivano la bocca.
Secondo. Nella loro visione logora del Pd come patto di sindacato fra ex-comunisti e ex-democristiani più qualcun altro di contorno, Marini era figura di garanzia degli equilibri di potere interni, oltre che esterni.
Terzo. Prodi continua a essere vissuto come figura divisiva prima di tutto all’interno della “ditta” di cui questi giovani dirigenti si sentono un po’ pateticamente i prosecutori.
Erede di un’atavica diffidenza per l’idea stessa di alternativa, con questa impostazione culturale e una specie di torcicollo che da sempre li sospinge (fin dai tempi del Pci) a privilegiare il rapporto con i moderati, Bersani non poteva che andare a sbattere. Molto più solido e dignitoso il disegno di Giorgio Napolitano che non si vergognava a dichiarare a voce alta la sua priorità: l’accordo con Berlusconi per un governo di larghe intese.
Inutile aggiungere che in questa concezione della “ditta”, peraltro lacerata all’interno da rancori personali, salvaguardie patrimoniali e qualche grana giudiziaria, la visione di un partito aperto, partecipativo, in sintonia con le dinamiche della società, altro non è che un orpello. Alla fine i firmatari Fassina e Martina si ritrovano a ricoprire incarichi di governo, secondari ma dignitosi, e magari a occuparsi di partite di potere reale come l’Expò 2015. Non vedo un gran futuro per i bersaniani. Per salvare la “ditta” i più smaliziati già stanno correndo in soccorso del vincitore Renzi."

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