Si può discutere sull'intervento del ministro Cancellieri per
Giulia Maria Ligresti. Ma molto di più sull'abuso di potere da parte di
giudici che tengono in galera le persone oltre ogni ragione
Sono rimasti sorpresi in tanti quando Matteo Renzi ha aperto nel
congresso Pd il dossier giustizia, sui temi sensibili delle carriere
dei magistrati e del loro potere sulla libertà delle persone: concetti
spesso intrecciati fra loro.
Le letture dell’uscita renziana sono state integralmente politiche:
il sindaco vuole sfidare anche su questo terreno immobilismo e prudenze
del Pd; vuole lanciarsi fin d’ora nella prateria elettorale
berlusconiana; vuole riequilibrare la posizione assunta sull’amnistia.
Tutto vero. Ma oltre e prima della tattica c’è il merito della
questione. E se la discussione sul messaggio quirinalizio su amnistia e
indulto s’è inabissata presto, arriva adesso a rinfocolare le polemiche
lo “scandalo” dell’intervento del ministro Cancellieri per la
scarcerazione di Giulia Maria Ligresti.
Alla fine il plot è sempre lo stesso, desolante. Il carcere fa
notizia solo se qualche ricco o famoso o potente lo incrocia nella
propria esistenza; oppure, all’estremo, se la vicenda di qualche
disgraziato “cittadino comune” si trasforma in tragedia talmente grande
da sfondare il muro di disinteresse. Da Tortora ad Aldrovandi. Da
Scaglia a Cucchi. In mezzo, nulla: sull’universo carcerario e sui suoi
orrori quotidiani (quasi mille morti tra il 2002 e il 2012) lavorano con
enorme fatica e scarsi risultati tanti operatori pubblici, volontari e
associazioni e un solo partito politico, i radicali. Troppo poco.
Per questo la vicenda Ligresti colpisce. E si può capire il fastidio
verso l’intervento di un ministro al quale la famiglia della detenuta
può rivolgersi con una semplice telefonata e in tono amichevole.
Lo “scandalo” deve però servire soprattutto a portare sulla scena –
nome, cognome e spiegazioni sul comportamento seguito – quel gip
torinese che voleva tenere in cella una donna anoressica e a rischio
della vita nonostante il parere del pm e senza il minimo rischio di fuga
o reiterazione del reato.
Perché l’uso del potere del ministro è servito a salvare una vita,
mentre l’uso del potere del giudice la stava stroncando: vip o non vip,
non si può rimanere neutrali rispetto a questa abissale differenza.
E chi fa politica dovrebbe trarre dalla vicenda un solo imperativo:
farla finita col vero colossale scandalo del ricorso indiscriminato alla
detenzione preventiva per sopperire a incapacità investigative e a
inefficienze burocratiche. Gli altri discorsi, compresi quelli sulle
responsabilità del ministro in questa circostanza, contano poco o
niente.
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