Francesco Cundari
L'Unità 27 novembre 2015
“La prudenza non è moderatismo, ma intelligenza della realtà e
delle situazioni”
«C’è una sapienza antica, un sedimento storico,
nell’intelligenza con cui il governo italiano sta affrontando la
crisi». Autorevole dirigente del Pd e prima della Democrazia
cristiana (fu tra i quattro deputati della Dc che nel 1991 votarono
contro la partecipazione dell’Italia alla prima guerra del Golfo,
quella di George Bush padre), Pierluigi Castagnetti condivide
pienamente la linea adottata dal presidente del Consiglio. Sia la sua
prudenza dinanzi ai toni bellicisti di altri paesi, rispetto ai quali
ha privilegiato finora il momento politico e diplomatico (la priorità
di un allargamento della coalizione anti-Isis, la necessità di
pensare anche al “dopo” per evitare una «Libia bis»), sia la
scelta, sul piano il ruolo dell’Italia è stato preziossimo ed è
stato spesso anche un ruolo attivo, per costruire mediazioni e
occasioni di dialogo, e per prevenire scontri. È la storia del
nostro paese. Probabilmente Renzi non si pone nemmeno l’esigenza di
recuperare questa tradizione: certe cose entrano naturalmente nelle
vene della politica. E nelle sue vene, evidentemente, sono entrate
bene…». Vogliamo dire che stiamo parlando della tradizione
democristiana, da Moro a Andreotti? «Sì, ma attenzione: parliamo di
una sapienza che era condivisa anche dalle opposizioni, a cominciare
dal Pci, e che ha caratterizzato la politica di tutti i governi
italiani per una lunghissima stagione, compreso il governo Craxi».
La accuseranno di nostalgia per la Prima Repubblica. «Non sono stati
anni infecondi, quelli di cui parliamo. Non tutto quel che appartiene
al passato è da buttare. Per evitare l’esplosione di conflitti
tremendi c’era bisogno di un impegno di grande respiro. L’Italia
ha avuto in questo un ruolo molto attivo e di grande iniziativa. La
nostra linea non era un’espressione del classico doroteismo dc, era
intelligenza e capacità di mediazione in tutto il bacino del
Mediterraneo». Si tratta di una linea che è stata anche molto
criticata. Alcuni ritengono che poggiasse su una ambiguità di fondo,
per non dire su una sorta di doppio gioco, nei confronti
dell’alleanza Atlantica. «Era una linea che poggiava sulla
conoscenza del mondo arabo. Perché, vede, prerequisito
indispensabile per avere qualche idea su come affrontare una
situazione, è averne qualche conoscenza. Ma da quando i due Bush
hanno cominciato a interno, di accompagnare agli investimenti in
sicurezza investimenti di pari ammontare sulla cultura e
l’integrazione.
Probabilmente per Matteo Renzi questa è la prova più
difficile da quando è diventato capo del governo. Come la sta
affrontando?
«Sicuramente è la prova più difficile e a mio avviso Renzi la
sta affrontando benissimo: con intelligenza politica e anche con un
disegno strategico. Tanto è vero che nessuno riesce a eccepirgli
alcunché».
Non si tratta però di una linea così lontana dalla
tradizionale politica estera dell’Italia, o sbaglio?
«Certo che no. È una tradizione antica. In occidente, direi
almeno dalla crisi di Suez in poi, c’è stata quasi una sorta di
delega all’Italia sulle vicende del Medio Oriente e in particolare
del mondo arabo. Per decenni il ruolo dell’Italia è stato
preziossimo ed è stato spesso anche un ruolo attivo, per costruire
mediazioni e occasioni di dialogo, e per prevenire scontri. È la
storia del nostro paese. Probabilmente Renzi non si pone nemmeno
l’esigenza di recuperare questa tradizione: certe cose entrano
naturalmente nelle vene della politica. E nelle sue vene,
evidentemente, sono entrate bene…».
Vogliamo dire che stiamo parlando della tradizione
democristiana, da Moro a Andreotti?
«Sì, ma attenzione: parliamo di una sapienza che era condivisa
anche dalle opposizioni, a cominciare dal Pci, e che ha
caratterizzato la politica di tutti i governi italiani per una
lunghissima stagione, compreso il governo Craxi». La accuseranno di
nostalgia per la Prima Repubblica. «Non sono stati anni
infecondi, quelli di cui parliamo. Non tutto quel che appartiene
al passato è da buttare. Per evitare l’esplosione di conflitti
tremendi c’era bisogno di un impegno di grande respiro. L’Italia
ha avuto in questo un ruolo molto attivo e di grande iniziativa. La
nostra linea non era un’espressione del classico doroteismo dc, era
intelligenza e capacità di mediazione in tutto il bacino del
Mediterraneo».
Si tratta di una linea che è stata anche molto criticata.
Alcuni ritengono che poggiasse su una ambiguità di fondo, per non
dire su una sorta di doppio gioco, nei confronti dell’alleanza
Atlantica.
«Era una linea che poggiava sulla conoscenza del mondo arabo.
Perché, vede, prerequisito indispensabile per avere qualche idea su
come affrontare una situazione, è averne qualche conoscenza. Ma da
quando i due Bush hanno cominciato a lanciare interventi privi
di logica e prospettiva, solo reattivi, e spesso ingiustificati anche
sotto questo profilo, abbiamo disimparato a capire il mondo arabo, e
quello islamico in particolare. Ecco, io credo che Renzi, con la
linea che sta tenendo, stia dimostrando di conoscere il mondo arabo».
C’è chi lo accusa di eccessiva prudenza, per non dire
di peggio. Non vede il rischio di un’autoemarginazione dell’Italia?
«C’è, anche nel dibattito italiano, chi ritiene che la
maturità della politica si identifichi con la capacità di fare la
guerra. Io penso che coincida invece con la capacità di evitare la
guerra. Mi vengono in mente le parole di San Brunone: “Se sei santo
prega per noi, se sei dotto insegnaci quello che sai, se sei prudente
governaci”. La prudenza non è moderatismo, ma intelligenza della
realtà e delle situazioni».