domenica 27 marzo 2016

Le verità nascoste


Walter Veltroni
L'Unità 27 marzo 2016
La crisi della normalità è l’anticamera della crisi di sistema. Convivere con la paura è molto difficile
Forse gli egiziani non conoscono la nostra storia. Nel nostro passato recente ci sono il “cedimento strutturale” dell’aereo caduto nel cielo di Ustica, c’è il ballerino Pietro Valpreda trasformato in uno stragista, c’è il volantino scritto dai criminali della banda della Magliana che, durante il rapimento Moro, depistò le indagini il giorno in cui fu ritrovato il covo in via Gradoli.
Dunque , ammaestrati dalla dura esperienza vissuta, non possiamo credere neanche un momento ad una storia come quella che , sul cadavere di cinque persone e oltraggiando persino la memoria di Giulio Regeni è stata confezionata per mettere una pietra sopra a una vicenda tenebrosa e inquietante. Proprio per l’attenzione con la quale la comunità internazionale guarda all’Egitto di oggi non possiamo tollerare di non sapere la verità sulla morte di un nostro cittadino e , ancor meno, possiamo accettare di essere beffati da storie incredibili, presumibilmente inventate a tavolino. Il governo italiano difenda, come sta facendo, la memoria di Giulio Regeni e accompagni lo sforzo competente ed esperto degli investigatori italiani e della Procura di Roma per venire a capo di un episodio grave e orrendo di tortura e morte. Sono sincero: fanno fatica a venire in superficie le parole che possano spiegare ciò che è successo, ciò che sta succedendo.
In queste ore, dopo la tragedia di Bruxelles, le televisioni, i social, i giornali, le radio sono state inondate di parole. Le solite, quelle che abbiamo udito dopo l’undici settembre, quindici anni orsono. E dopo la serie infinita di attentati e di morti che ha attraversato questo tempo lungo del nostro vivere. Non ne faccio colpa a nessuno. Anche se il silenzio, la meditazione, la ricerca spesso sono preferibili al rumore di parole che sembrano bolle d’aria. Tutti si improvvisano esperti di terrorismo o di politica estera. Anche chi confonde Daesh con il Dash e chi non saprebbe indicare dove è Avezzano, non Raqqa.
Certe volte il dolore e lo stupore hanno la meglio sulla ragione e spingono la nostra mente e la nostra coscienza a cercare risposte facili, emotive. Ho visto, in questi giorni anche le persone più miti che, sentendo il pianto dei bambini o le storie delle persone straziate da delinquenti senza umanità, tendono a reagire usando parole, concetti, propositi di soluzione che assomigliano più a un desiderio di vendetta che alla ricerca di una razionale soluzione. I terroristi stanno portando all’ esasperazione l’opinione pubblica. Lo fanno con crudele determinazione, sparando sulla folla, come si dice che Salah avrebbe fatto se non fosse stato arrestato. Lo fanno mettendo bombe che uccidono mamme e bambini che vogliono prendere un aereo o spostarsi con la metropolitana, giovani che sono accorsi entusiasti per ascoltare un concerto o gruppi di amici che sono in un ristorante. I terroristi vogliono dirci , molto semplicemente, che nessuno è al riparo.
Ci siamo passati, noi italiani, con lo stragismo dei gruppi terroristi che per venti anni e più ha colpito treni, banche, piazze, stazioni. La normalità, per questi barbari, è il nemico. La crisi della normalità è l’anticamera delle crisi di sistema. Convivere con la paura. È molto difficile. Perché bisogna sottrarsi al rischio principale che la paura porta con sé. Le risposte emotive. Dei governi e delle opinioni pubbliche. Bisogna essere , in queste circostanze, statisti e cittadini, nel senso pieno del termine. Capire che sarà una lotta lunga e che avremo bisogno delle persone, delle nazioni, dei governi che troppo sbrigativamente oggi potremmo ignorare . Che da soli non ce la faremo, né all’interno né all’esterno. Dobbiamo mostrare la forza? Certo, se essa è guidata da un disegno strategico, da un sistema di alleanze, come accadde quando fummo liberati dai regimi che avevano prodotto la guerra, quella guerra allora invocata e a festeggiata da masse plaudenti, non dimentichiamolo mai. La forza, talvolta necessaria, può anche essere stupida e controproducente. Se non è guidata dalla politica ma dalla emotività.
Il mondo che trema per l’attacco terroristico è lo stesso che sta conoscendo due grandi novità, epocali : l ’accordo con l’Iran e il disgelo tra Usa e Cuba. Due pagine di storia di assoluto rilievo. Più che l’ uso delle armi, più volte invocato in tutti e due i casi, è stata l’intelligenza di un’altra forza, quella della politica, a evitare il peggio. Perché la politica può avere una forza che schiaccia le armi e le cinture esplosive. Le tante cose da fare sono davanti ai nostri occhi : la regolazione del flusso dei migranti secondo principi di sicurezza e civiltà, l’integrazione per evitare che disagio sociale e marginalità forniscano corpi pronti a immolarsi , l’umanizzazione delle periferie, la responsabilizzazione civile di tutto il corpo sociale, il contrasto senza esitazioni di tutti i focolai di radicalizzazione estrema. Cose grandi ma terribilmente urgenti. Che vanno progettate e realizzate in un quadro di chiarezza anche culturale. Tutte le equiparazioni dell’Occidente , comunque territorio di libertà e democrazia, agli assassini del Bataclan o delle metropolitane è gravissimo e pericoloso.
E poi ci sono cose che non si capisce perché non siano state fatte ancora. Come la creazione di un sistema unico di intelligence europea. Sia deciso , subito. Perché alla prossima occasione non si dica , per l ‘ennesima volta, che andrebbe fatto. Ho detto che non si capisce perché ancora qualcosa di tanto evidente e necessario non sia ancora realtà. In effetti si comprende benissimo. E torniamo alla politica. Sono gli stati nazionali che non accettano una dimensione continentale nelle politica di sicurezza interna ed esterna, in quelle di difesa. Il neo nazionalismo , o i retaggi del vecchio, ci rende , come europei, incapaci di fronteggiare non solo le opportunità della globalizzazione ma persino i rischi più terribili. Per non fare Europa siamo tutti esposti ai rischi di un terrorismo capace, esso sì, di essere sovranazionale.
Penso, personalmente, che a un certo punto bisognerà tirare una linea e verificare chi, tra i paesi membri, crede davvero nella magnifica e realistica utopia di una Europa unita e vuole fare sul serio. Meglio un’ Europa vera, capace di politiche incisive e comuni, piuttosto che un gigante fermo che , essendo immobile, si espone al rischio costante dello sgretolamento. Gli Stati Uniti d’Europa, altrimenti sarà il caos. Per questo ci sono due temi di grande politica. Nel video dell’Isis compare , indicato come nemico , il volto di Donald Trump. Non bisogna essere dei geni per capire il messaggio che è nascosto in questa scelta. L’Isis sa benissimo che se il mondo occidentale sceglierà la guerra frontale non contro il terrorismo ma contro l’Islam allora per l’estremismo diventerà facile accrescere seguito e consenso. Per quanto sia difficile non bisogna smettere di operare perché la maggior parte del mondo islamico si schieri , senza ambiguità, contro la violenza. Il secondo tema è, di nuovo, l’ Europa. Se accentuerà la sua divisione e frammentazione , se smarrirà , come potrebbe accadere con le assurde posizioni che proliferano ad Est o con il referendum inglese, persino la sua stessa ragione di esistere, allora gli assassini del Bataclan e di Zaventem brinderanno. Vogliono un occidente chiuso e diviso lacerato da nazionalismi , integralismi e popululismi che schieri contro di sé le centinaia di milioni di islamici e vogliono una Europa ridotta ad una vecchia e arruginita insegna. Dobbiamo fare il contrario, se vogliamo sopravvivere. Di questo si tratta.

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