Umberto De Giovannangeli
L'Unità 10 marzo 2016
È tempo di gesti forti e di iniziative
all’altezza. Fuori dalle ovattate stanze di Bruxelles
Vi sono dei momenti in cui la
visibilità diviene sostanza politica, il luogo costruisce l’evento,
il tono dà il segno dell’importanza del contenuto. Per questo ci
sentiamo di dare un consiglio all’Alto Rappresentante per la
politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea, Federica
Mogherini: di fronte a una Europa che si blinda, dedita a sempre più
pericolosi e retrogradi “giochi con le frontiere”, sarebbe un
gesto importante, fortemente simbolico e per ciò stesso altamente
politico, un “tour” ufficiale nei luoghi della vergogna, laddove
una umanità sofferente viene tenuta a freno, segregata, da muri di
filo spinato o da reparti anti sommossa in assetto di guerra.
Mostrare, anche fisicamente, di essere
dalla parte dei più deboli, degli indifesi e, al tempo stesso,
affermare, visibilmente, che una Europa che su una materia così
importante, cruciale per gli anni a venire come è quella delle
migrazioni, non può parlare ventotto lingue diverse e subire i
ricatti dei governi più chiusi in materia di accoglienza (come è
accaduto anche nel recente Consiglio dei capi di Stato e di governo
europei), condannandosi così o all’immobilismo o a subire ricatti,
da Est (Ungheria, Polonia, Slovenia) o da Sud (Turchia). Sappiamo,
per una conoscenza personale di lunghissima data, che la ex ministra
degli Esteri è persona particolarmente sensibile ai temi dei diritti
umani, della difesa dei più deboli, dell’autodeterminazione dei
popoli. Ed è proprio per questo che ci permettiamo di insistere: è
il momento di rafforzare sul campo la propria autorevolezza, rompendo
anche una certa consuetudine del “politically correct” radicatasi
a Bruxelles e che tanto piace a quelle cancellerie il cui più grande
desiderio è di non essere disturbate nelle loro manovre (nazionali).
A volte, forzare la mano è più che un
diritto. È un dovere. Assolutamente fondato. Tanto più se viene
praticato da colei che viene (ed è espressione) di un Paese di
frontiera, sul fronte delle migrazioni, qual è l’Italia, lasciata
colpevolmente solo da una Europa attenta all’Est e “cieca” a
Sud, nell’evitare che il Mediterraneo si trasformasse, ancor più
di quanto lo sia stato, nel “Mar della Morte”. Per l’Italia la
nomina di Federica Mogherini a “Lady Pesc” è stata molto più
del riconoscimento di capacità espresse nei suoi precedenti
incarichi. È stato un investimento politico sul presente e sul
futuro. Un investimento su una Europa più coesa in politica estera,
in cui più forte e incisivo fosse il suo “profilo mediterraneo”.
Ora, è chiaro che esistono i rapporti di forza, e la nomina del
popolare (inteso come famiglia politica) lussemburghese JeanClaude
Juncker a presidente della Commissione europea ne è la tangibile
riprova. Tuttavia, in determinate situazioni alzare l’asticella del
confronto, “battere i pugni sul tavolo”, far pesare, anche
mediaticamente, il proprio ruolo, è un bene per l’Europa. L’Europa
dei cittadini e non delle burocrazie. l’Europa che non si trincera
dietro limitazioni di movimento ma chiede di arrivare finalmente al
diritto di asilo comunitario, l’Europa di quanti, e sono tanti,
credono e praticano, anche alle frontiere blindate, la solidarietà
fattiva, ispirati a quei valori di umanitarismo e di inclusione che
hanno ispirato i padri fondatori dell’Unione europea. Nel suo
recente viaggio in Messico, Papa Francesco ha scelto di tenere la
Santa messa in un luogo simbolo della divisione e della sofferenza:
la frontiera tra Messico e Stati Uniti. È stato un gesto che ha
parlato al mondo, che ha riscaldato i cuori, che ha dato speranza, e
che ha suscitato l’ira di chi quella immensa frontiera vorrebbe
murarla ancor di più (Donald Trump).
Speranza contro paura. Una inclusione
“governata” contro i respingimenti forzati di massa. Aperture
contro ricatti. Un investimento sull’Europa ma anche la difesa (si
è in certi ruoli anche per questo) degli interessi del proprio
Paese. Slovenia, Austria, Polonia, Ungheria: è in crescita (in
quantità, non certo in qualità delle motivazioni addotte) il numero
dei governi europei che innalzano “muri”, dettano condizioni non
solo sul numero ma ora anche sulla nazionalità dei rifugiati da
“ospitare” (una inaccettabile gerarchizzazione delle sofferenze
su basi geopolitiche). L’obiettivo dichiarato, e praticato con i
miliardi dell’Unione, è quello di chiudere la “rotta balcanica”,
affidando al “Sultano di Ankara”, il presidente Recep Tayyp
Erdogan, il ruolo di “Guardia” della frontiera europea e nel
frattempo chiudendo i propri confini. Ciò, è bene averne
consapevolezza a giochi ancora aperti, non frenerà la fuga di
milioni di disperati da guerre, povertà assoluta, disastri
ambientali. Ne modificherà le “rotte”. E la nuova, la “rotta
Adriatica”, è destinata a investire l’Italia, già impegnata sul
“fronte mediterraneo”. Non solo per questo, ma anche per questo,
il nostro “consiglio” spassionato, ma non disinteressato, a
Federica Mogherini: è tempo di gesti forti e di iniziative
all’altezza. Fuori dalle ovattate stanze di Bruxelles.
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