Alfredo Bazoli
E così eccoci qui, ancora una volta, a
valutare l’esito di una consultazione elettorale sorprendente, che
ribalta ogni pronostico e mostra che l’impossibile diventa realtà.
Era già accaduto con la Brexit, ora di
nuovo con la vittoria di Trump alle presidenziali americane.
Un uomo per molti versi impresentabile,
politicamente scorretto, che ha attaccato duramente, ai limiti
dell’insulto, minoranze, paesi stranieri, avversari politici,
volgare e sessista, senza alcuna esperienza di governo e di politica,
profondamente odiato dai democratici e avversato anche dal partito
repubblicano, insomma un uomo del tutto inadatto e che in un’altra
epoca non avrebbe passato le prime selezioni, un uomo così, a
dispetto di tutti i pronostici e le aspettative, di tutti i nemici e
gli avversari, ha sbaragliato la concorrenza, ha annichilito ogni
aspettativa, ed è diventato presidente degli Stati Uniti.
Come è potuto succedere? E che
significa?
C’è, nelle spiegazioni che sento e
leggo diffusamente, qualcosa che non torna.
Si dice che è la crisi economica, che
è la classe bianca che ha sperimentato quella crisi a reagire
rabbiosamente.
Eppure negli ultimi otto anni di
presidenza Obama, l’America ha vissuto una crescita economia
poderosa, la disoccupazione è calata dai livelli drammatici del 2008
a limiti fisiologici, la borsa ha continuato a correre.
Insomma, gli USA la crisi economica se
la sono lasciati alle spalle da un bel po’, al contrario di quello
che sta capitando a gran parte dell’Europa.
Dunque c’è qualcosa di più che non
la spiegazione economica, a motivare questa rabbia, questa voglia di
rovesciare il tavolo che si è espressa in modo così sorprendente in
queste elezioni, seguendo un’onda partita dalla brexit, e che
dunque riguarda tutte le democrazie occidentali.
Io me la spiego così.
È l’onda di una paura, di una
angoscia che sta mettendo le radici dentro le società occidentali,
figlia di un disordine mondiale che sentiamo minaccioso, che ci
spaventa attraverso il terrorismo che si fa stato, feroce e
nichilista, che ci destabilizza e preoccupa con le ondate migratorie
pressanti e apparentemente ingestibili, che ci rende insicuri con le
incertezze di una economia instabile, che non da sicurezze e
prospettive.
Questa paura sta dilagando nel ceto
medio, o in quel che ne resta, sta corrodendo piano piano ma
inesorabilmente la fiducia nel futuro, nella provvidenza della
storia.
Da alcuni anni la sensazione diffusa è
che il futuro dei nostri figli sarà peggiore del nostro.
E allora la risposta sta nel desiderio
di rompere questa deriva minacciosa, di lacerare questo meccanismo,
di rovesciare questo piano inclinato affidandosi a chi meglio di
altri può portare alla rottura totale del sistema.
Con tutte le incognite, i rischi e le
ulteriori incertezze che ciò comporta.
Ma se così stanno le cose, è chiaro
che alla politica che cerca le soluzioni, che non si limita a urlare,
che si sforza di unire, spetta di raccogliere questo sfogo, questa
rabbia, di farsene carico, di trasformarla in progetto per il futuro.
Il campanello d’allarme per le
democrazie occidentali è ora.
Se non saremo capaci di una svolta
seria e credibile, a partire dall’Europa, finiremo per essere
travolti tutti, e rischieremo di trovarci, alla fine, e a dispetto
delle illusioni date da risposte semplici, più poveri e insicuri di
prima.
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