Fabrizio Rondolino
L'Unità 16 novembre 2016
I Noisti ipocritamente dicono che Renzi
dovrebbe restare anche se vince il No
I Noisti che votano No con l’unico
obiettivo di abbattere Matteo Renzi – e sono la maggioranza: da
Salvini a Bersani, da Brunetta a Grillo – curiosamente (o
ipocritamente?) insistono su un punto: il 5 dicembre, se vince il No,
Renzi deve comunque restare a Palazzo Chigi. Bisogna votare contro le
riforme per colpire il presidente del Consiglio, sostengono in tv e
sui giornali, ma il presidente del Consiglio non si deve dimettere.
E perché? Perché, spiegano, il
referendum non è sul governo. Però bisogna votare No, concludono,
perché questo governo è pessimo.
Un gran bel ragionamento, non c’è
che dire: onesto, trasparente, convincente. E rivelatore: nascondere
le conseguenze dei propri atti è un contrassegno della politica
politicante, del tatticismo elevato a sistema di vita, del desiderio
rabbioso di distruggere senza preoccuparsi di ciò che verrà dopo.
Onore dunque a Massimo D’Alema, che
l’altro giorno ha confessato finalmente la verità: “Se vince il
No, niente elezioni anticipate, bisognerà prima cambiare la legge
elettorale… il presidente Mattarella nel giro di poche ore
individuerà una personalità super partes per formare un nuovo
governo”.
A parte la battuta sulle “poche ore”
necessarie a risolvere una crisi di governo, che fa da pendant ai
“pochi mesi” sufficienti per D’Alema ad approvare una nuova
riforma istituzionale, per di più “condivisa”, lo scenario
prospettato dall’ex premier e mancato commissario europeo è
realistico: la vittoria del No spalanca le porta all’ennesimo
governo tecnico, o istituzionale, o di scopo, o come altrimenti sarà
etichettato il governicchio che si proverà a formare.
Proviamo ad approfondire la questione.
L’azionista di maggioranza di questo ipotetico governo sarebbe
comunque il Pd guidato da Renzi – almeno fino al congresso – e la
maggioranza ricalcherebbe più o meno quella attuale, con l’eventuale
aggiunta di Forza Italia (sempreché Berlusconi, dopo aver appena
licenziato Stefano Parisi, cambi di nuovo idea e ritorni “moderato”).
Ma nessuna delle forze politiche che
voteranno la fiducia al governo si sentirà più di tanto impegnata
nel sostenerlo, e anzi farà a gara per punzecchiarlo, prenderne le
distanze, metterlo in difficoltà: un po’ perché la vittoria del
No apre di fatto la campagna elettorale per le politiche, un po’
perché quel governo presumibilmente avrà ministri “tecnici”
slegati dai partiti, un po’ perché si sa in partenza che avrà
vita breve.
Davvero qualcuno crede che un tale
governicchio sia in grado di scrivere una nuova legge elettorale,
contrattare con l’Europa i necessari margini di flessibilità,
rassicurare i mercati finanziari, arginare l’ondata populista e
restituire dignità ed efficienza all’azione politica?
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