Federica Fantozzi
L'Unità 12 ottobre 2015
Studiosi e politologi promuovono il ddl
Boschi: “Con la fine tardiva del bicameralismo l’Italia smette di
essere un’eccezione. Non ci sono squilibri”
Un passo avanti importante, atteso da
almeno trent’anni, che mettendo fine al bicameralismo paritario
allinea l’Italia agli altri Paesi europei. Un impianto che
(valutato insieme all’Italicum) rafforza la centralità del governo
prevedendo però contrappesi quali il ruolo del Quirinale, lo statuto
delle opposizioni, il rafforzamento degli strumenti di democrazia
diretta. Una buona riforma con alcuni nei sui quali si potrà tornare
in futuro. È il parere di svariati costituzionalisti, politologi e
studiosi, alcuni auditi durante l’iter del ddl Boschi, altri tra i
“saggi” voluti da Giorgio Napolitano.
«È una riforma eccellente. Certo perfettibile giacché frutto di mediazione politica. Io, ad esempio, sostengo l’elezione pienamente indiretta dei senatori» argomenta Carlo Fusaro, professore di diritto Parlamentare ed Elettorale all’università di Firenze. Alle obiezioni di incostituzionalità ribatte: «Non ne vedo nemmeno un barlume. Alcuni colleghi argomentano sulla collisione con principi supremi della Costituzione, ma qui siamo nell’ambito dell’organizzazione dei poteri dello Stato». Quanto al potenziamento della governabilità, è un obiettivo: «Non prendiamoci in giro. Va semplificata e rafforzata».
«È una riforma eccellente. Certo perfettibile giacché frutto di mediazione politica. Io, ad esempio, sostengo l’elezione pienamente indiretta dei senatori» argomenta Carlo Fusaro, professore di diritto Parlamentare ed Elettorale all’università di Firenze. Alle obiezioni di incostituzionalità ribatte: «Non ne vedo nemmeno un barlume. Alcuni colleghi argomentano sulla collisione con principi supremi della Costituzione, ma qui siamo nell’ambito dell’organizzazione dei poteri dello Stato». Quanto al potenziamento della governabilità, è un obiettivo: «Non prendiamoci in giro. Va semplificata e rafforzata».
Di «ottimo risultato» parla anche il
costituzionalista Augusto Barbera: «La scelta di senatori che siano
anche consiglieri regionali è un punto fermo iniziale nato con
l’obiettivo di collegare la legislazione statale con quella
regionale ed evitare i disastrosi conflitti del passato di fronte
alla Consulta. È un bene che sia stato mantenuto». Anche Barbera
rammenta un cavallo di battaglia storico del centrosinistra: «Cito
Pietro Ingrao sulla sovranità popolare che si esprime pienamente se
non viene dimezzata in due Camere. Viene valorizzato il governo? No,
l’assemblea nazionale, cioè Montecitorio. Gli equilibri si
spostano a suo favore in quanto unica depositaria della sovranità
popolare». Neppure Francesco Clementi, docente di Diritto Pubblico
alla facoltà di Scienze Politiche a Perugia, non condivide le accuse
di squilibrio dei poteri a favore dell’esecutivo rispetto al
legislativo: «Sono frutto di un’errata interpretazione della
Carta, di un parlamentarismo all’italiana. Il ddl Boschi difende
tre punti chiave: i poteri del capo dello Stato sullo scioglimento
delle Camere, l’intangibilità del potere giudiziario, il
rafforzamento delle autonomie nel Senato e degli strumenti di
democrazia diretta quali il referendum propositivo e le leggi di
iniziativa popolare». In sostanza, Clementi nota come i maggiori
modelli di democrazia parlamentare abbiano «una Camera bassa che dà
la fiducia, in questo l’Italia era un’eccezione alla regola e un
Senato non federale bensì federatore dato che siamo un Paese ancora
diviso». Ultimo punto positivo, il terzo comma dell’articolo 116
nel Titolo V che premia le Regioni “virtuose” nei bilanci.
Nessuno sbilanciamento di poteri anche per Cesare Pinelli, professore
di Diritto Costituzionale alla Sapienza: «Il Senato eletto dai
cittadini si trasforma in luogo che coinvolge le autonomie nel
processo di rappresentanza a livello nazionale». Quanto ai pericoli
del combinato disposto con l’Italicum, invita a guardare a lungo
termine: «Se oggi dalle urne uscissero maggioranze diverse tra
Camera e Senato sarebbe il caos, il presidente della Repubblica
dovrebbe sciogliere. Il Senato delle Autonomie invece sarebbe una
garanzia e potrebbe dare filo da torcere alla maggioranza». Quanto
alle accuse di Forza Italia che la riforma va avanti con 140 voti
segreti, Pinelli guarda il contesto: «Le strategie della maggioranza
sono estreme ma spiegabili con l’atteggiamento di parte delle
opposizioni che hanno giocato allo sfascio o tentato forzature vane».
Peppino Calderisi, esperto di sistemi elettorali oggi vicino a Ncd,
considera «assolutamente condivisibile» l’impianto della riforma:
«È lo stesso individuato dai 35 saggi del governo Letta, di cui
faceva parte anche Mario Mauro (che oggi, passato all’opposizione,
è contrario, ndr). Con una sola Camera che vota la fiducia e l’altra
che rappresenta gli enti territoriali. Anche la mediazione
sull’elettività dei senatori è buona». I punti problematici, per
Calderisi, sono altri. A partire dall’articolo 21 sulla platea di
elezione del capo dello Stato: «Serviva una norma di chiusura, così
si rischia lo stallo». E sul ruolo delle opposizioni, reale
contrappeso della maggioranza, si poteva fare di più: «servivano
una commissione di valutazione della finanza pubblica guidata dalle
minoranze e una norma per sottrarre le Autority indipendenti agli
indirizzi della maggioranza».
Sergio Fabbrini, direttore della Luiss
School of Government, dà un giudizio «abbastanza positivo» di una
riforma che «è un grande passo avanti, atteso dagli anni ‘50».
Ma le riforme costituzionali hanno successo «se c’è un’iniziativa
forte del governo. In Italia ci siamo portati dietro a lungo la
retorica parlamentare: meno male che Renzi non ne è rimasto
prigioniero, ha capito che nessun parlamento potrà mai riformare se
stesso. In modo brutale: i capponi non accelerano il Natale». Quanto
ai rischi di squilibrio dei poteri, derivano dalla debolezza
dell’attuale opposizione: «L’italicum favorirà forme di
aggregazione, spero che non cambi». Ida Nicotra, docente di diritto
costituzionale a Catania, promuove l’impianto complessivo che
elimina il bicameralismo simmetrico e migliora la ripartizione delle
materie tra Stato e Regioni: «Bene accentrare le competenze
sull’energia, eliminare la potestà concorrente foriera di liti
dinanzi alla Consulta, e prevedere una clausola di salvaguardia». Da
componente dell’Anac, l’Autorità Anticorruzione, sottolinea
l’introduzione del principio di trasparenza per gli atti della
Pubblica Amministrazione e degli enti territoriali nell’articolo
118: «Contributo per la legalità». Infine il politologo Roberto
D’Alimonte: «Una buona riforma che scioglie nodi importanti,
semplifica le procedure di formazione del governo e delle leggi.
L’Italia la aspettava da tempo». Squilibri tra i poteri?
«Assolutamente no», spiega, dato che i poteri del Quirinale ma
anche quelli del capo del governo – la forma di governo – non
vengono toccati. E la valutazione complessiva non cambia neppure nel
combinato disposto con la nuova legge elettorale.
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