mercoledì 13 aprile 2016

Riforma del Senato, il sì dei costituzionalisti: “Svolta attesa da decenni”


Federica Fantozzi
L'Unità 12 ottobre 2015
Studiosi e politologi promuovono il ddl Boschi: “Con la fine tardiva del bicameralismo l’Italia smette di essere un’eccezione. Non ci sono squilibri”
Un passo avanti importante, atteso da almeno trent’anni, che mettendo fine al bicameralismo paritario allinea l’Italia agli altri Paesi europei. Un impianto che (valutato insieme all’Italicum) rafforza la centralità del governo prevedendo però contrappesi quali il ruolo del Quirinale, lo statuto delle opposizioni, il rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta. Una buona riforma con alcuni nei sui quali si potrà tornare in futuro. È il parere di svariati costituzionalisti, politologi e studiosi, alcuni auditi durante l’iter del ddl Boschi, altri tra i “saggi” voluti da Giorgio Napolitano.
«È una riforma eccellente. Certo perfettibile giacché frutto di mediazione politica. Io, ad esempio, sostengo l’elezione pienamente indiretta dei senatori» argomenta Carlo Fusaro, professore di diritto Parlamentare ed Elettorale all’università di Firenze. Alle obiezioni di incostituzionalità ribatte: «Non ne vedo nemmeno un barlume. Alcuni colleghi argomentano sulla collisione con principi supremi della Costituzione, ma qui siamo nell’ambito dell’organizzazione dei poteri dello Stato». Quanto al potenziamento della governabilità, è un obiettivo: «Non prendiamoci in giro. Va semplificata e rafforzata».
Di «ottimo risultato» parla anche il costituzionalista Augusto Barbera: «La scelta di senatori che siano anche consiglieri regionali è un punto fermo iniziale nato con l’obiettivo di collegare la legislazione statale con quella regionale ed evitare i disastrosi conflitti del passato di fronte alla Consulta. È un bene che sia stato mantenuto». Anche Barbera rammenta un cavallo di battaglia storico del centrosinistra: «Cito Pietro Ingrao sulla sovranità popolare che si esprime pienamente se non viene dimezzata in due Camere. Viene valorizzato il governo? No, l’assemblea nazionale, cioè Montecitorio. Gli equilibri si spostano a suo favore in quanto unica depositaria della sovranità popolare». Neppure Francesco Clementi, docente di Diritto Pubblico alla facoltà di Scienze Politiche a Perugia, non condivide le accuse di squilibrio dei poteri a favore dell’esecutivo rispetto al legislativo: «Sono frutto di un’errata interpretazione della Carta, di un parlamentarismo all’italiana. Il ddl Boschi difende tre punti chiave: i poteri del capo dello Stato sullo scioglimento delle Camere, l’intangibilità del potere giudiziario, il rafforzamento delle autonomie nel Senato e degli strumenti di democrazia diretta quali il referendum propositivo e le leggi di iniziativa popolare». In sostanza, Clementi nota come i maggiori modelli di democrazia parlamentare abbiano «una Camera bassa che dà la fiducia, in questo l’Italia era un’eccezione alla regola e un Senato non federale bensì federatore dato che siamo un Paese ancora diviso». Ultimo punto positivo, il terzo comma dell’articolo 116 nel Titolo V che premia le Regioni “virtuose” nei bilanci. Nessuno sbilanciamento di poteri anche per Cesare Pinelli, professore di Diritto Costituzionale alla Sapienza: «Il Senato eletto dai cittadini si trasforma in luogo che coinvolge le autonomie nel processo di rappresentanza a livello nazionale». Quanto ai pericoli del combinato disposto con l’Italicum, invita a guardare a lungo termine: «Se oggi dalle urne uscissero maggioranze diverse tra Camera e Senato sarebbe il caos, il presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere. Il Senato delle Autonomie invece sarebbe una garanzia e potrebbe dare filo da torcere alla maggioranza». Quanto alle accuse di Forza Italia che la riforma va avanti con 140 voti segreti, Pinelli guarda il contesto: «Le strategie della maggioranza sono estreme ma spiegabili con l’atteggiamento di parte delle opposizioni che hanno giocato allo sfascio o tentato forzature vane». Peppino Calderisi, esperto di sistemi elettorali oggi vicino a Ncd, considera «assolutamente condivisibile» l’impianto della riforma: «È lo stesso individuato dai 35 saggi del governo Letta, di cui faceva parte anche Mario Mauro (che oggi, passato all’opposizione, è contrario, ndr). Con una sola Camera che vota la fiducia e l’altra che rappresenta gli enti territoriali. Anche la mediazione sull’elettività dei senatori è buona». I punti problematici, per Calderisi, sono altri. A partire dall’articolo 21 sulla platea di elezione del capo dello Stato: «Serviva una norma di chiusura, così si rischia lo stallo». E sul ruolo delle opposizioni, reale contrappeso della maggioranza, si poteva fare di più: «servivano una commissione di valutazione della finanza pubblica guidata dalle minoranze e una norma per sottrarre le Autority indipendenti agli indirizzi della maggioranza».
Sergio Fabbrini, direttore della Luiss School of Government, dà un giudizio «abbastanza positivo» di una riforma che «è un grande passo avanti, atteso dagli anni ‘50». Ma le riforme costituzionali hanno successo «se c’è un’iniziativa forte del governo. In Italia ci siamo portati dietro a lungo la retorica parlamentare: meno male che Renzi non ne è rimasto prigioniero, ha capito che nessun parlamento potrà mai riformare se stesso. In modo brutale: i capponi non accelerano il Natale». Quanto ai rischi di squilibrio dei poteri, derivano dalla debolezza dell’attuale opposizione: «L’italicum favorirà forme di aggregazione, spero che non cambi». Ida Nicotra, docente di diritto costituzionale a Catania, promuove l’impianto complessivo che elimina il bicameralismo simmetrico e migliora la ripartizione delle materie tra Stato e Regioni: «Bene accentrare le competenze sull’energia, eliminare la potestà concorrente foriera di liti dinanzi alla Consulta, e prevedere una clausola di salvaguardia». Da componente dell’Anac, l’Autorità Anticorruzione, sottolinea l’introduzione del principio di trasparenza per gli atti della Pubblica Amministrazione e degli enti territoriali nell’articolo 118: «Contributo per la legalità». Infine il politologo Roberto D’Alimonte: «Una buona riforma che scioglie nodi importanti, semplifica le procedure di formazione del governo e delle leggi. L’Italia la aspettava da tempo». Squilibri tra i poteri? «Assolutamente no», spiega, dato che i poteri del Quirinale ma anche quelli del capo del governo – la forma di governo – non vengono toccati. E la valutazione complessiva non cambia neppure nel combinato disposto con la nuova legge elettorale.

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