Walter Veltroni
L'Unità 16 aprile 2016
Ci sono due elezioni che segneranno il
futuro del mondo occidentale. La prima, In ordine di tempo, è quella
che si svolgerà in Gran Bretagna nel prossimo mese di giugno
Ci sono due elezioni che segneranno il
futuro del mondo occidentale. La prima, In ordine di tempo, è
quella che si svolgerà in Gran Bretagna nel prossimo mese di giugno.
Avrà per oggetto, in definitiva, la permanenza di quel paese
nell’Europa. Avrà, come conseguenza, quella di rafforzare o di
indebolire per sempre la prospettiva di un continente forte,
unito, autorevole nelle sue politiche. Se vincerà la posizione
euroscettica le conseguenze sulla già debole economia continentale
potranno essere drammatiche. Non siamo fuori dalla crisi, in Europa.
Se Cameron, pure indebolito dalla vicenda Panama papers, dovesse
perdere, il rischio di un nuovo precipitare della crisi si potrebbe
fare molto reale. Questo spiega l’allarme di un uomo saggio e
decisivo per la prospettiva europea come Mario Draghi.
La seconda elezione si terrà il primo
martedì di novembre negli Stati Uniti. Lì si deciderà se
continuerà un’ esperienza di presidenza democratica oppure se se
gli americani decideranno di cambiare radicalmente governo e
politica. Radicalmente, tanto quanto non è mai accaduto nella storia
di quel paese. Il passaggio dalla presidenza Clinton a quella di Bush
fu molto meno traumatica di quanto potrebbe essere la transizione
dalla politica di Barack Obama a quella di Donald Trump o di Ted
Cruz.
Martedì si voterà nello stato di New
York per le primarie democratiche e repubblicane. Sanders è reduce
da una serie impressionante di vittorie e sembra aver prevalso nel
recente confronto televisivo con Hillary Clinton che pure resta la
favorita nello stato della grande mela. Davvero il voto dei
newyorchesi democratici potrebbe segnare l’esito definitivo delle
primarie , in un senso o nell’altro.
In campo repubblicano lo scontro è,
diciamocelo, tra due candidati le cui piattaforme si assomigliano
sempre di più e sempre più in modo drammaticamente radicale.
L’esito della convenzione repubblicana è del tutto imprevedibile,
al momento. Certo la vittoria di Trump e il suo confronto con un
candidato democratico indebolito dalle divisioni interne può mettere
il mondo di fronte al rischio che le follie programmatiche e
valoriali proposte dal magnate americano divengano la politica della
più grande potenza mondiale. E, con Cruz, le cose non sarebbero
molto diverse. L’America si sposterebbe a destra, quella populista
e non quella conservatrice e moderata, come mai nella sua storia.
Riflettiamo bene su quello che sta
succedendo negli Usa. Non solo nella politica, nella coscienza degli
elettori. Cosa spinge milioni di cittadini a ritenere credibili le
proposte più strampalate, i toni più violenti . Noi ci siamo
passati, in Italia. Tutti nel mondo pensavano che fosse impossibile
che vincesse le elezioni Berlusconi, con le sue proposte tanto
demagogiche da non essere mai state realizzate in tredici anni di
governo. E invece ha vinto, anche perché ha saputo interpretare
umori profondi e fragilità dell’elettorato in un momento di
transizione . E , si badi bene, Berlusconi è un moderato a petto di
Trump o Cruz.
Gli Stati Uniti hanno avuto un grande
presidente. La storia, ormai, si incarica di rendere giustizia solo
dopo la morte o dopo un tempo infinito. Barack Obama, voglio dirlo
oggi, è stato e rimane un grande presidente. Ha cominciato a
lavorare mentre venivano portati via gli scatoloni delle potenze
finanziarie tracollate, ha conosciuto una turbolenza internazionale
non governabile attraverso un accordo tra potenze. Oggi gli Usa sono
in una grande ripresa economica, cresce il lavoro e, lo dicono i dati
recenti, si riduce il ricorso al sussidio di disoccupazione. E’
stata approvata la riforma sanitaria da sempre rinviata. Si è scelta
una politica internazionale fatta non di muscoli sganciati dal
progetto politico, come nell’era Bush, ma del costante ricorso
all’intelligenza della politica. Pensiamo sia stato facile per il
Presidente degli stati Uniti favorire un accordo con l’Iran,
decisivo per la pace mondiale, e mettere piede a l’Havana
stringendo la mano al Presidente cubano? Il tempo ci dirà se la
strategia di attacco militare nei confronti dell’Isis darà i suoi
risultati. Certo è che Obama ha lavorato per evitare che attorno al
califfato si stringessero solidarietà di governi e paesi dell’area.
Ci sono stati limiti, indecisioni? Potrebbero non esserci quando il
mondo ha perso il suo vecchio ordine e non riesce a trovarne un
altro? Quando leggo, nel nostro paese ,commenti aspramente critici
verso Obama penso che se noi europei, che siamo a un passo dal
focolaio della crisi, avessimo fatto un millesimo del nostro dovere
politico e strategico la situazione sarebbe diversa. Abbiamo
cominciato noi in Europa con i muri, e non smettiamo. Trump ha
seguito, non preceduto. Contro quei muri e la loro disumanità si è
levata come mai nella storia la voce del Papa che ha chiamato le
coscienze di tutto il mondo a praticare la virtù dell’integrazione,
non la pratica della discriminazione.
A Washington c’è, fino alla fine
dell’anno, il saggio Obama. E questo è, per la pace del mondo, una
garanzia.
Poi, può accadere davvero qualcosa di
inedito e terribile. Ci sono momenti della storia in cui le opinioni
pubbliche si innamorano della propria rabbia e diventano prede di un
demone che le alberga: la supina accettazione della demagogia e
dell’odio verso l’altro.
Stati Uniti e Inghilterra sono due
paesi in cui non sono mai esistite dittature. Due grandi democrazie
che non hanno esitato a far morire i loro figli per dare la libertà
a chi aveva applaudito demagoghi e portatori di odio e di
intolleranza. Oggi dobbiamo tornare a guardare a quei paesi. Perché
, in questo tempo smemorato, non perdano il senso della loro storia e
della loro grandezza.
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