Mario Lavia
L'Unità 26 aprile 2016
Salvini “benedetto” dal candidato
repubblicano alla Casa Bianca ma ha i suoi guai in Italia
E così Donald Trump ha posato la spada
sulla spalla di Matteo Salvini con tanto di auspicio (“Diventerai
premier in Italia”), una benedizione che da questo momento diventa
croce e delizia per l’uomo con la felpa: delizia, perché che un
aspirante alla Casa Bianca ti glorifichi non è cosa da tutti; ma
anche croce, perché è indubitabile che il capo della Lega ora sia
ufficialmente il punto di riferimento italiano dell'”arco nero”
che va da Trump a Marine Le Pen a Viktor Orban sotto lo sguardo
compiaciuto di Vladimir Putin: passando, appunto, da via Bellerio.
Salvini , il capo di una destra
che non ha grande dimestichezza con i principi liberal-democratici ai
quali preferisce istintivamente quelli anti-egualitari,
anti-solidaristici, anti-europei, anti-immigrati, è dunque
l’uomo su cui punta questa specie di Internazionale reazionaria.
D’altra parte, è il leader di una formazione politica che dopo la
crisi del bossismo ha abbandonato le idee del federalismo per
raccogliere l’umor nero che circola con insistenza nel nostro
Paese.
L’improvvisa mossa “americana” di
Salvini ha perciò un forte valore simbolico perché lo accredita
come il Trump milanese – odio per gli stranieri e armi per tutti –
in sintonia con il peggiore sciovinismo del Front National e persino
con il nuovo fascismo di Orban e Hofer, e attratto, non a caso, non
solo dall’autocrate Putin ma perfino dal pazzo che governa la Corea
del Nord.
La sua opa sul centrodestra italiano in
un certo senso ora è più robusta e dunque più insidiosa: per
Giorgia Meloni, che a Roma rischia di finire male, anche perché se
la destra perde perde lei, non lui: a conferma del fatto, come notava
ieri Gianfranco Fini, che di destra se ne intende, che Fratelli
d’Italia è una copia della Lega: e – diciamo noi – fra la
copia e l’originale la gente di solito sceglie l’originale.
Ma a Salvini non mancano gli ostacoli.
I fatti dicono che non tocca palla nella sua Milano, dove c’è un
centrodestra non guidato dai leghisti che compete per palazzo Marino;
e che a Roma c’è un certo Silvio Berlusconi che sta mostrando (per
ragioni politiche e personali insieme, come sempre) di tenere una
barra “moderata”, ostacolando la vittoria della Meloni e comunque
contrastando la deriva della destra nelle mani dei lepenisti in salsa
italica.
I sondaggi, poi, lo vedono annaspare
sotto il 15%, un po’ poco per aspirare a fare il premier (va
spiegato a Trump) e soprattutto surclassato dal M5S, partito della
rabbia per eccellenza. Lo spazio vero insomma è stretto, per il
rappresentante italiano dell’ “arco nero”, malgrado la
benedizione americana.
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