lunedì 18 aprile 2016

Così l’Armata è andata a sbattere


Fabrizio Rondolino
L'Unità 18 aprile 2016
Poteva essere un tranquillo referendum di primavera e invece…
Poteva essere un tranquillo referendum di primavera, uno di quelli che non interessano a nessuno, uno spettacolino inscenato in gran fretta da qualche ambientalista apocalittico e dalla Grillo e Casaleggio Associati srl in cambio di un po’ di visibilità: e invece l’hanno trasformato nell’ennesima battaglia finale tutti-contro-Renzi.
Poteva andare a finire come al solito – negli ultimi vent’anni, 24 referendum su 28 non hanno raggiunto il quorum – senza danni per nessuno né effetti collaterali (giusto un’esecrabile spreco di denaro pubblico e l’ennesima picconata ad un istituto in crisi dagli anni Novanta): e invece ne hanno fatto una vittoria politica di Renzi, tanto più grandiosa e destinata a pesare perché si consuma quando tutti gli indicatori – media, sondaggi, Bar Sport televisivi – lo davano per debole, isolato, persino prossimo alla caduta.
Chi sono gli autori di questo capolavoro politico? Chi sono i geni che hanno saputo ridare ossigeno, smalto e consenso popolare ad un governo e ad un leader che essi stessi giudicavano già spacciati? L’Armata Brancaleone degli anti-renziani è, sulla carta, uno schieramento capace di far impallidire gli anni gloriosi dell’antiberlusconismo militante. In ordine sparso, e per limitarsi ai più rappresentativi, ne fanno parte la sinistra radicale e la destra radicale, la Lega e il Movimento 5 stelle, quel che resta di Forza Italia e la minoranza del Pd, i più autorevoli editorialisti e tutti i conduttori dei talk show, la burocrazia sindacale e la magistratura militante, i salotti e i tinelli, la caste e le castine.
Sulla carta, però: perché nel Paese reale, fra le decine di milioni di italiani che non guardano i talk show né tantomeno comprano un giornale, ma lavorano e studiano e vogliono una vita normale, l’Armata Brancaleone dei conservatori e dei garantiti non è altro che una minoranza rumorosa e rancorosa. Intendiamoci: i milioni di italiani che sono andati diligentemente a votare meritano almeno lo stesso rispetto di quelli che si sono astenuti (e che pure sono stati addirittura accusati di tradire il patto di cittadinanza). Ognuno si comporta come crede, e ha sempre le sue buone ragioni.
Ma l’Armata Brancaleone che s’è intestata la battaglia referendaria, e che ieri sera ha assaporato il sapore amarissimo della sconfitta, qualche riflessione dovrebbe pur farla. La politicizzazione di un referendum palesemente inutile è scattata quando il Pd – non Renzi, non il governo – ha formalizzato la propria scelta a favore dell’astensione.
E’ insorta la minoranza del partito, è insorto il governatore Emiliano – che, sbagliando, ha cavalcato il referendum per presentarsi come leader alternativo a Renzi –, sono insorti i grillini, è insorto il Fatto. Se il Pd sceglie l’astensione, devono essersi detti, vuol dire che Renzi ha paura del referendum: ma noi siamo furbi, l’abbiamo capito e adesso spieghiamo agli italiani che bisogna andare a votare sulla chiusura anticipata di una manciata di piattaforme che non hanno mai avuto problemi perché così si dà una bella lezione a Renzi. Da qui la scelta di spostare l’attenzione sul premier, di trasformare il referendum nell’antipasto di quello di ottobre, di personalizzare e politicizzare lo scontro.
Renzi, che è pieno di difetti ma non è stupido, ha colto la palla al balzo, è stato perfettamente al gioco, ha accettato la sfida con baldanzoso entusiasmo, e ha sfruttato, più che la propria, la forza degli avversari per conquistare la vittoria. La scelta dell’astensione non era né una sfida né tantomeno il segno di una paura: era semplice buonsenso. L’Armata Brancaleone ne ha fatto un casus belli, s’è inventata un nemico che non c’era sperando così di ingrossare i consensi, ed è andata clamorosamente a sbattere.
Ora diranno che comunque il risultato è stato buono, che i votanti sono stati comunque più numerosi che nel 2009, che comunque 10 milioni di italiani non seguono gli inviti di Renzi. Contenti loro, contenti tutti. Avversari così farebbero la gioia di chiunque, figuriamoci di un ragazzo impertinente come il nostro presidente del Consiglio.

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