Elisabetta Gualmini
Salvatore Vassallo
L'Unità 27 aprile 2016
Dal documento non traspare la minima
sensibilità verso il contesto in cui la riforma è maturata e verso
gli effetti di una bocciatura basata sulla ricerca di un ottimo
metafisico che pare nemico assoluto del bene per i contemporanei
Cari emeriti,
proprio non vi capiamo. Abbiamo grande
rispetto per voi e per il documento diffuso qualche giorno fa. Per
questo, avendolo letto con attenzione, abbiamo deciso di dedicare uno
spicchio del nostro 25 aprile a scrivervi. Siete tutti accademici
accreditati, molti di voi hanno ricoperto alti incarichi
istituzionali. Essendo però come noi, prima di tutto, dei
ricercatori, di sicuro considererete normali il contraddittorio e le
confutazioni. Avendo deciso di agire in gruppo per una iniziativa
politica troverete anche ovvio che essa sia oggetto di un giudizio
pubblico appassionato.
Alcuni tra voi 56 sono membri di un
club di cauti riformatori a cui ci siamo sempre ispirati, che però
non hanno trovato nel loro tempo la finestra di opportunità per
riformare. Altri sono convinti da sempre che la Costituzione sia
intoccabile, che fuori dal sistema proporzionale non c’è
democrazia, come un tempo fuori dalla Chiesa non c’era salvezza, e
che in ultima istanza sulle cose veramente importanti, piuttosto che
la politica, sia meglio che decidano istituzioni di sapienti, di
nobili coltivati da colte letture, messi al riparo dalla becera
necessità di conquistare il consenso e governare giorno per giorno
gli interessi in conflitto.
Ci scuserete se abbiamo fatto due conti
sulla vostra età, che in media è di 69 anni. Quattordici di voi
sono stati giudici costituzionali. Ben dieci hanno goduto delle
vorticose rotazioni alla presidenza della Consulta basate
sull’anzianità – tre nel solo 2011 – su cui si è soffermato
Sabino Cassese nel suo istruttivo Dentro la Corte (Il Mulino, 2015) e
sono dunque “emeriti”, con le annesse prerogative. In questo
sottogruppo di supersaggi, l’età media supera gli 81 anni. Siete
tutti invidiabilmente lucidi. Non è questo il punto che vogliamo
sollevare. Né noi due siamo particolarmente giovani, a dirla tutta.
Ci pare però significativo il criterio in base al quale il gruppo si
è autoselezionato, uno specchio di certe istituzioni italiane, un
po’ decadenti, che ci è capitato di frequentare. A maggior ragione
ci pare stonato il messaggio di fondo che proponete, di fronte a un
Paese che sta cercando affannosamente di ricominciare a crescere. Il
messaggio suona più o meno così: “noi che deteniamo le massime
conoscenze teoretiche sull’oggetto, noi che siamo la quintessenza
della saggezza, noi che siamo l’empireo dei Professori ci siamo
riuniti in concilio, abbiamo attentamente soppesato i pro e i contro
della riforma costituzionale, e abbiamo deciso di dire NO. E poi No.”
A pensar male, il primo sottinteso pare una rivalsa, condita di un
certo disprezzo, verso Renzi-ilplebeo, uno che parla in maniera
approssimativa e irruente, che schifa i tecnici e ancora di più i
professoroni, i loro convegni e le loro tartine. Non li invita a
cena, non li promuove a ruoli importanti, se può ne fa volentieri a
meno. O verso la Boschi-così-leggera, una neo-laureata senza nemmeno
un dottorato di ricerca in diritto pubblico che, ciononostante, non
ha sentito il bisogno di convocare un Concilio di emeriti prima di
proferire verbo sulla materia (come se poi non fossero bastati tutti
i precedenti, dalla Bicamerale Bozzi del 1982 alla Commissione dei
Saggi del 2013).
Ma veniamo al merito. Il vostro
documento, forse per la combinazione di idee tanto diverse, per
quanto accomunate dallo status, presenta a nostro parere una serie di
contraddizioni evidenti proprio sui punti politicamente più
rilevanti.
La prima è che alcuni di voi, nel giro
di poche settimane, hanno dovuto sotterrare la bomba-bufala della
“svolta autoritaria” e hanno imbracciato lo spadino-di-cartoncino
del diavolo che si annida nei dettagli. Il prof. Gustavo Zagrebelsky,
in un documento del 31 marzo 2014 intitolato proprio in quel modo,
sosteneva che «stiamo assistendo impotenti al progetto di
stravolgere la nostra Costituzione […] per creare un sistema
autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali». E
in un altro del 6 marzo 2016 parlava della riforma come “la
razionalizzazione d’una trasformazione essenzialmente
incostituzionale, che rovescia la piramide democratica”. Il
documento dei 56 di cui Zagrebelsky è cofirmatario pone invece
questioni minori sulla ripartizione dei poteri tra senato e camera o
tra stato e regioni, da cui solo con molta fantasia e una sviluppata
propensione alle teorie del complotto si possono far discendere i
pericoli di cui sopra.
Avreste voluto un Senato con maggiori
poteri, ma allo stesso tempo un processo legislativo più semplice.
Uno studente del primo anno verrebbe inchiodato di fronte alla
banalità della contraddizione. Per dare più rilevanza al Senato
bisognerebbe stabilire in quali altre materie ha maggiori
poteri, chi ha la prerogativa di smembrare i progetti di legge che le
contengono, con quali procedure e quali maggioranze il senato le
esamina o le approva. Il sistema proposto dalla Boschi-Renzi è
comunque semplicissimo. Ha solo due procedimenti, pienamente
bicamerale per norme ordinamentali e di rango costituzionale, a
prevalenza della Camera per il resto. E in ogni caso, per evitare in
radice le incertezze e i conflitti di cui vi state preoccupando ci
sono solo due strade: il monocameralismo o il bicameralismo
perfettamente paritario.
Avreste preferito inoltre che in Italia
fosse trapiantato il Bundesrat tedesco. Non lo dite apertamente, ma
lamentate che nel Senato voluto dalla riforma “non si
esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali
inevitabilmente articolate in base ad appartenenze
politico-partitiche”. Ora, l’unico senso che si può dare a
questa frase è: “sarebbe stato molto meglio un Senato composto
solo dai Presidenti delle Regioni e da loro delegati, come in
Germania”. A meno che non pensiate ad un Senato di supersaggi,
scelti non si sa come, capaci di rappresentare meglio dei Presidenti,
eletti dai cittadini, le Regioni “in quanto tali” e non “in
base ad appartenenze politico-partitiche”. Ci chiediamo che cosa
avrebbe scritto del Bundesrtat italiano, cioè di un Senato più
forte, che sarebbe composto oggi all’80% da Presidenti del
Pd-di-Renzi, il prof. Zagrebelsky sul Fatto Quotidiano…
Sembrate considerare una mera
eventualità il fatto che il referendum riguardi l’intera legge
approvata dal Parlamento, mentre proponete una votazione per parti,
mettendo in dubbio quanto scrive a chiare lettere la Costituzione ed
è già stato fatto nel 2006. Ci chiediamo sommessamente: quale
magistrato della Cassazione o della Corte costituzionale avrebbe il
potere di preparare lo spezzatino? Come è possibile che poniate un
problema del genere? Sollecitate forse un rimpallo tra Cassazione e
Corte costituzionale per rinviare? Ne avete già discusso con
qualcuno che siede in quelle istituzioni?
Ma ancora di più ci stupisce, o forse
no, quello che nel documento manca.
Non c’è nessuna preoccupazione verso
la possente ondata di riprovazione popolare di cui sono oggi oggetto
la politica e le istituzioni, e la necessità oggettiva di dare
meditati segnali di sobrietà. Evidentemente per voi i costi della
politica non sono un grosso problema e comunque sono altrove. Avreste
voluto un altro Cnel al posto del Cnel. E sempre secondo voi non è
così importante ridurre il numero dei parlamentari.
Decostituzionalizzare le province (che non vuol dire abolire per
forza e dappertutto un ente di area vasta, come voi scrivete) non va
bene.
Dal documento non traspare la minima
sensibilità verso il contesto in cui la riforma è maturata e verso
gli effetti di una bocciatura basata sulla ricerca di un ottimo
metafisico che pare nemico assoluto del bene per i contemporanei.
Nessun accenno al fatto che senza l’entrata in vigore della riforma
costituzionale e dell’Italicum entro il 2016, cioè almeno 18 mesi
prima della scadenza naturale della XVII legislatura, i successivi
governi sarebbero destinati a dibattersi tra instabilità e
inconcludenza, e il parlamento tornerebbe a essere un suq. Anche
a causa di quei giudici della Corte costituzionale che con la
sentenza numero 1 del 2014 hanno reintrodotto di loro pugno,
contraddicendo la volontà ripetutamente espressa con chiarezza dai
cittadini italiani e dal parlamento, un sistema elettorale
proporzionale, simile a quello della Prima Repubblica.
Nel documento nemmeno si intravede il
fosso in cui Paese si sarebbe piantato senza l’impuntatura a
schiena dritta del canuto-Re-Giorgio e il testimone preso dal
giovane-Renzi-il-plebeo. Come se voi non sapeste che solo la
determinazione congiunta del ragazzo che sta a Palazzo Chigi e
dell’anziano ex-inquilino del Quirinale ha potuto rompere le
fortissime resistenze sotterranee che hanno impedito per trent’anni
di fare quanto Costantino Mortati considerava ovvio già nel 1972, e
cioè trasformare il senato in una sede di rappresentanza degli enti
territoriali. Perso questo treno, difficilmente ne passerà a breve
un altro.
Noi, contrariamente a voi, siamo molto
preoccupati per questa eventualità, non per il governo Renzi, ma per
chiunque dovrà governare e vivere in Italia dopo. E siamo anche
consapevoli, nel nostro piccolo, che le riforme ottime non esistono,
come insegnano i buoni manuali di diritto pubblico e di politica
comparata, che tutte sono perfettibili e che farle con un governo di
compromesso uscito fuori per miracolo da una situazione di completa
paralisi non era un’operazione semplice. E quindi diciamo SI. E poi
Sì.