Silvia Marzoli, 32 anni, è una delle infermiere che volontariamente ha deciso di tornare in corsia per dare il suo contributo nella lotta al Coronavirus. Al Giornale.it ha raccontato i suoi giorni in terapia intensiva a Brescia
Daniele Bellocchio
La priorità è combattere contro il nuovo Coronavirus
ed avendo lavorato per anni come infermiera in terapia intensiva ho
pensato, senza esitazioni, di tornare in reparto per mettere la mia
professionalità al servizio degli altri''. Silvia Marzoli ha 32
anni, vive in provincia di Brescia, ha lavorato per 8 anni come
infermiera in terapia intensiva in un ospedale del capoluogo lombardo
poi, dopo un master in pubblica amministrazione, nel 2018, ha
lasciato il lavoro in corsia per intraprendere una nuova carriera
all'interno di InterSystems, un'azienda che si occupa di software per
il sistema sanitario, per le aziende e le realtà amministrative. Da
quando è esplosa l'infezione di COVID 19 Silvia però ha deciso di
schierarsi anche lei in quella che oggi è la prima linea italiana:
gli ospedali; ed è tornata a lavorare in terapia intensiva, a
Brescia, dove sarà impegnata per tutti i prossimi weekend, sino a
quando l'emergenza non sarà cessata.
Quando ha maturato la scelta di voler tornare in ospedale?
Appena è esplosa l'epidemia, tre settimane fa circa, mi sono resa
conta che non eravamo difronte a una situazione normale e che ci
stavamo preparando ad affrontare un qualcosa di nuovo, di enorme. La
Cina già ci aveva mostrato quanto potesse essere drammatica questa
infezione e ora lo stiamo vivendo sulla nostra pelle. Quindi, giorno
dopo giorno, mi sono resa conto della gravità e di come fosse
realmente la situazione negli ospedali. A quel punto non ho più
avuto dubbi e ho deciso di dare la mia disponibilità per lavorare il
fine settimana.
È stata supportata dalle persone a lei vicine nel
compiere questa scelta?
Da un lato, da parte di chi mi è vicino, c'è una legittima
preoccupazione, ma allo stesso tempo mio padre, i miei amici, i miei
colleghi, tutti mi hanno fatto sentire il loro supporto e la loro
vicinanza in questa mia scelta. E percepire questa solidarietà e
unione mi ha dato ancora più forza e determinazione per tornare in
ospedale.
Come è stato il rientro in corsia?
Mi è sembrato di non essere mai andata via. Tutto il personale
medico sta lavorando in una maniera straordinaria. Medici,
infermieri, Oss, non c'è nessuno che si ferma un secondo e c'è una
dedizione al sacrificio e uno spirito di squadra unici. L'aver visto
un atteggiamento di questo tipo da parte del personale medico e
infermieristico è stata in qualche modo un'iniezione di fiducia. La
situazione nel
reparto di rianimazione è comunque frenetica, i ritmi sono
concitati e il personale deve adattarsi sempre a nuove esigenze: i
reparti sono stati modellati per garantire ai pazienti tutta
l'assistenza di cui hanno bisogno, ma perchè la macchina non si
fermi, nessuno può concedersi pause o permessi.
Come infermiera come vive e affronta la separazione tra
pazienti e parenti?
La separazione è un aspetto brutale. Dal momento che le regole
sono ferree e le visite non sono consentite io spero che riesca ad
essere incentivato sempre più l'utilizzo dei devices come strumento
di comunicazione tra paziente e parente. I parenti cerchiamo di
tranquillizzarli e rassicurarli. Non mistifichiamo la situazione ma
con oggettività spieghiamo come stanno le cose ed evitiamo che
quindi si trovino soli in balia di ansia e paure. Talvolta si assiste
a scene disperate ma non sono affatto biasimabili. Purtroppo, e non è
ancora chiaro a molti perchè se n'è parlato poco a riguardo, questa
malattia obbliga a un allontanamento. I parenti, in molti casi, per
diversi giorni, non possono rivedere il proprio caro malato. E' bene
che la gente lo sappia così da tutelarsi maggiormente.
Voi per tutta Italia, oggi, siete considerati degli eroi.
Ma lei che sta vivendo da dentro questa situazione cosa vorrebbe dire
agli italiani che da fuori l'applaudono?
Di non uscire di casa. Semplicemente questo. Non uscite. Vedo
ancora troppa gente che va in giro, troppa. Io non credo che in
questo momento sia così necessario trovare un motivo per andare
fuori. Ricordiamoci sempre che non bisogna sottovalutare la
questione. Vorrei che tutti in Italia non uscissero di casa. Solo se
si rispettano le regole e si limitano il più possibile le uscite si
può mettere fine a tutto questo e non si vanifica così lo sforzo
che noi medici e infermieri stiamo facendo
Arrivano anche giovani immagino, quali sono le loro
reazioni?
Sono spaventati, come tutti. Anche se si sono viste scene di
giovani che facevano gli aperitivi o si sono ascoltate interviste a
giovani esuberanti che non dimostravano molta attenzione e interesse
per la questione, io invece posso garantire che ci sono molti giovani
attenti e inoltre quando i giovani vengono in ospedale, nessuno di
loro vuol fare il di più, e sono tutti estremamente preoccupati.
Questo virus è una livella e non guarda in faccia a nessuno.
Qual è il particolare, la situazione, l'episodio che l'ha
colpita maggiormente da quando è tornata a lavorare in ospedale?
Più di tutto c' è una domanda che continua a echeggiarmi in
testa: ''quando finirà?''. E' il non sapere dare una risposta a
questo interrogativo la cosa che mi colpisce di più.
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