Ermes Ronchi
Sono
giorni strani, giorni “senza”
(senza messe, nessun evento, pochi contatti...) e la prima cosa che
balza al cuore, per me, è un sentimento di precarietà della vita.
Mia e dei miei cari, mia e del mondo. La vita è mia, ma non dipende
da me. Basta un invisibile virus,
anche se dal nome regale... E poi, il sentimento del dono: la mia
vita è tutta un tessuto di doni.
Come
dare un senso a questi giorni sospesi, in questo inizio di quaresima?
Voglio
accogliere questa precarietà (che
siano queste le ‘ceneri’ della liturgia?...),
accogliere è più che accettare, e ascoltar nascere la struttura del
dono, e poi dell’empatia, con la fragilità degli altri.
Sono
davanti a un bivio: posso alimentare la paura, con le sue chiusure
paralizzanti e le critiche distruttive, oppure posso sentirmi
coinvolto e responsabile del bene comune, base del vivere civile, e
cristiano.
Il
vangelo domenica accendeva una luce sulla precarietà:
Non
di solo pane vive l’uomo!
L’uomo
non vive solo trasformando le pietre in pane, o in beni economici,
vive anche della contemplazione delle pietre del mondo, vive di
bellezza, di relazioni e di sapienza. La vita vive anche di vita
donata alla cura d’altri.
Allora
a cosa dedicare questi giorni
“senza”? A
riempire i carrelli dei supermercati? Per accorgerci che il re
capitalista è nudo?
Molto
meglio dedicarli a qualcosa che spesso fuggiamo come un nemico:
l’interiorità. E se provassimo a prenderci del tempo?
“Perdonate se non ho guardato / con la dovuta attenzione tutte le
meraviglie/ quotidiane. I passaggi di luce, le stagioni. / Certe
facce. O musi. Se non ho adorato/ la varietà mutevole del mondo...”
(M. Gualtieri)
Per
esempio, mi prendo tempo per il silenzio - spengo la tv, incubatrice
di paure, e lo smartphone
contagiatore, che le
diffonde alla massima velocità - per vivere un tempo di solitudine
amica. Posso
meditare, pregare, uscire a “riveder le stelle”. Vivere la pura
gioia di pensare, di fare arte. Di leggere viaggiare interiormente in
compagnia dei grandi uomini di ogni tempo.
Mi
prendo il tempo per la famiglia, per le relazioni, per una visita a
persone che non vedo da tempo. Per riaccendere il telefono, e
chiamare un amico.
Di
questi giorni io vorrei salvare la consapevolezza che siamo tutti
interconnessi, che facciamo rete insieme, e che in ciascuno c’è
l’orma di ognuno, in ogni vita confluiscono tracce di ogni vita.
Vorrei
che restasse, di questi giorni, l’idea che possiamo ricompattarci,
e restituire fiducia agli scienziati e anche agli amministratori che
applicano le direttive. Vorrei salvare, di questi giorni, una lezione
di solidarietà: la tua vita è anche la mia vita. E anch’io
collaboro, obbedisco alle disposizioni, mi comporto con cautela e
responsabilità. Perché proteggendo me stesso, proteggo i più
esposti: anziani, adulti e bambini malati... e non posso, con le mie
scelte, smagliare questa rete, facendo di testa mia, aprendo così un
buco o una breccia nella diga comune.
Vorrei
salvare di questa esperienza del male comune la lezione di che cos’è
il bene comune, così vituperato e deriso.
Voglio
investire le mie energie, in questa quaresima strana, non per
deprimere me e gli altri ma per costruire qualcosa: per purificarci
tutti dalla nostra indifferenza verso il mistero della vita, perché
sia più viva e più solidale e più bella, e più nostra, la nostra
Casa comune.
Dunque
si può
di Mariangela Gualtieri
Dunque
si può. Dire mi dispiace
dire
perdonate e ottenere perdono,
subito.
Essere del tutto ripuliti.
Nuovi.
Si può. Allora perdonate.
[...]
perdonate
le mattine scure
e
l'umor nero – la testa chiusa murata
nelle
sue tortuose galere, la prigionia
interiore
in cui mi relego, muta e scontrosa
dimentica
dei doni.
Se
non sono del tutto e sempre
innamorata
del mondo, della vita,
sedotta
e vinta dalla rivelazione
d'esserci
d'ogni cosa, e d'altro
non
troppo ben nascosto – dietro l'evidenza.
Questo
più d'ogni altra cosa perdonate.
La
mia disattenzione.
Nessun commento:
Posta un commento