lunedì 9 marzo 2020

Giorni strani


Ermes Ronchi
Sono giorni strani, giorni “senza” (senza messe, nessun evento, pochi contatti...) e la prima cosa che balza al cuore, per me, è un sentimento di precarietà della vita. Mia e dei miei cari, mia e del mondo. La vita è mia, ma non dipende da me. Basta un invisibile virus, anche se dal nome regale... E poi, il sentimento del dono: la mia vita è tutta un tessuto di doni.

Come dare un senso a questi giorni sospesi, in questo inizio di quaresima?
Voglio accogliere questa precarietà (che siano queste le ‘ceneri’ della liturgia?...), accogliere è più che accettare, e ascoltar nascere la struttura del dono, e poi dell’empatia, con la fragilità degli altri.
Sono davanti a un bivio: posso alimentare la paura, con le sue chiusure paralizzanti e le critiche distruttive, oppure posso sentirmi coinvolto e responsabile del bene comune, base del vivere civile, e cristiano.

Il vangelo domenica accendeva una luce sulla precarietà:
Non di solo pane vive l’uomo!
L’uomo non vive solo trasformando le pietre in pane, o in beni economici, vive anche della contemplazione delle pietre del mondo, vive di bellezza, di relazioni e di sapienza. La vita vive anche di vita donata alla cura d’altri.
Allora a cosa dedicare questi giorni “senza”? A riempire i carrelli dei supermercati? Per accorgerci che il re capitalista è nudo?
Molto meglio dedicarli a qualcosa che spesso fuggiamo come un nemico: l’interiorità. E se provassimo a prenderci del tempo? “Perdonate se non ho guardato / con la dovuta attenzione tutte le meraviglie/ quotidiane. I passaggi di luce, le stagioni. / Certe facce. O musi. Se non ho adorato/ la varietà mutevole del mondo...” (M. Gualtieri)
Per esempio, mi prendo tempo per il silenzio - spengo la tv, incubatrice di paure, e lo smartphone contagiatore, che le diffonde alla massima velocità - per vivere un tempo di solitudine amica. Posso meditare, pregare, uscire a “riveder le stelle”. Vivere la pura gioia di pensare, di fare arte. Di leggere viaggiare interiormente in compagnia dei grandi uomini di ogni tempo.
Mi prendo il tempo per la famiglia, per le relazioni, per una visita a persone che non vedo da tempo. Per riaccendere il telefono, e chiamare un amico.

Di questi giorni io vorrei salvare la consapevolezza che siamo tutti interconnessi, che facciamo rete insieme, e che in ciascuno c’è l’orma di ognuno, in ogni vita confluiscono tracce di ogni vita.
Vorrei che restasse, di questi giorni, l’idea che possiamo ricompattarci, e restituire fiducia agli scienziati e anche agli amministratori che applicano le direttive. Vorrei salvare, di questi giorni, una lezione di solidarietà: la tua vita è anche la mia vita. E anch’io collaboro, obbedisco alle disposizioni, mi comporto con cautela e responsabilità. Perché proteggendo me stesso, proteggo i più esposti: anziani, adulti e bambini malati... e non posso, con le mie scelte, smagliare questa rete, facendo di testa mia, aprendo così un buco o una breccia nella diga comune.
Vorrei salvare di questa esperienza del male comune la lezione di che cos’è il bene comune, così vituperato e deriso.

Voglio investire le mie energie, in questa quaresima strana, non per deprimere me e gli altri ma per costruire qualcosa: per purificarci tutti dalla nostra indifferenza verso il mistero della vita, perché sia più viva e più solidale e più bella, e più nostra, la nostra Casa comune.

Dunque si può di Mariangela Gualtieri


Dunque si può. Dire mi dispiace
dire perdonate e ottenere perdono,
subito. Essere del tutto ripuliti.
Nuovi. Si può. Allora perdonate.

[...]

perdonate le mattine scure
e l'umor nero – la testa chiusa murata
nelle sue tortuose galere, la prigionia
interiore in cui mi relego, muta e scontrosa
dimentica dei doni.

Se non sono del tutto e sempre
innamorata del mondo, della vita,
sedotta e vinta dalla rivelazione
d'esserci d'ogni cosa, e d'altro
non troppo ben nascosto – dietro l'evidenza.

Questo più d'ogni altra cosa perdonate.
La mia disattenzione.


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