Fabrizio Rondolino
L'Unità 19 luglio 2016
La minoranza Pd presenta una proposta
di legge elettorale? Franceschini propone modifiche? Bene: più si
discute, più si blinda quanto già votato
C’ è una parte di sinistra (e non
solo) che adora discutere, avanzare proposte, convocare convegni,
interpellare esperti, istituire commissioni di studio, e infine
predisporre progetti di riforma formalmente perfetti, salvo
l’inconveniente di non venir mai approvati. La produzione di
proposte a mezzo di proposte è stata, in materia costituzionale ed
elettorale, l’attività dominante dagli anni Ottanta in poi: e ogni
sconfitta – cioè ogni mancata riforma – veniva compensata
dall’impe – gno solenne a riprendere la discussione e dalla
convinzione che la (mancata) riforma futura sarebbe senz’altro
stata la riforma perfetta.
Matteo Renzi ha rotto questo
incantesimo approvando in un paio d’anni sia una riforma
costituzionale, sia una riforma elettorale: naturalmente le soluzioni
trovate non sono le migliori, né sono state condivise da tutti, ma,
rispetto al passato, hanno l’indubbio vantaggio di essere uscite
dai convegni e dalle aule parlamentari per approdare alla realtà. Ma
ad una parte del ceto politico e intellettuale è sembrato invece che
Renzi abbia perfidamente sottratto il giocattolo preferito. E così
la discussione è ricominciata – è bene ricordare che l’Italicum
è entrato in vigore da appena diciotto giorni, e che la riforma
Boschi è ancora in attesa del responso popolare – e le proposte
ricominciano a piovere. Ha cominciato Massimo D’Alema, una decina
di giorni fa, proponendo una riforma costituzionale «in tre punti»
capace, a suo parere, di riscuotere anche il consenso del
centrodestra e di essere approvata «in sei mesi».
Ma la sortita dell’ex presidente del
Consiglio è sembrata a molti irrealistica anche sul piano della
propaganda – l’unico che conti davvero da qui al referendum
d’autunno – e non ha avuto seguito. Più frastagliato il fronte
della legge elettorale. La minoranza del Pd, com’è noto, non
soltanto contesta l’Italicum, ma ne considera necessaria una
modifica sostanziale: in caso contrario, è stato più volte
annunciato, voterà No al referendum.
Non c’è bisogno di essere un
costituzionalista per sapere che il percorso parlamentare per
cambiare la Costituzione è lungo e complesso, mentre le leggi
elettorali sono leggi ordinarie, non necessariamente legate ad un
assetto istituzionale o ad una forma di governo. E infatti ci sono
già state in Italia, negli ultimi vent’anni, tre riforme
elettorali . Ma tant’è: il virus del cambiamento perpetuo – o
per meglio dire la tendenza ad avanzare proposte senza mai tradurle
in leggi – non è stato ancora del tutto debellato.
E così oggi Federico Fornaro e Andrea
Giorgis, due parlamentari molto vicini a Pierluigi Bersani,
presenteranno una proposta – già infelicemente battezzata
“Bersanellum” dai giornali – che abolisce il ballottaggio e
riduce il premio di maggioranza. La risposta di Renzi c’è già
stata: «Se ci sono i numeri in Aula – ave va detto la scorsa
settimana a margine del vertice Nato di Varsavia – l’Italicum si
può anche cambiare». E l’altroieri Maria Elena Boschi ha ribadito
lo stesso concetto: «Se il Parlamento decide di modificarlo perché
ci sono i numeri su una proposta diversa, ovviamente il Parlamento è
sovrano». Se non di un cambiamento di sostanza, si tratta senz’altro
di un cambiamento di toni: non più il “prendere o lasciare” di
qualche mese fa, ma una dichiarata disponibilità all’ascolto e al
confronto. Del resto, non c’è soltanto Bersani a voler cambiare
l’Italicum: anche Dario Franceschini, all’ultima riunione della
Direzione, ha proposto una modifica (premio alla coalizione anziché
alla lista) che peraltro coincide almeno in parte con le richieste
dell’Ncd .
E qui veniamo al punto di fondo: più
passa il tempo, più aumenteranno le proposte di riforma della
riforma, alimentate ormai dallo stesso Renzi. E più aumentano le
proposte, più appare difficile, se non impossibile, che davvero si
coaguli un accordo politico e parlamentare. In altre parole, è come
se Renzi reagisse ai suoi avversari colpendoli con l’arma che
costoro vorrebbero usare contro di lui: discutere di riforme,
infatti, è il modo più sicuro per non farle. Per difendere le
riforme fatte, dunque, è sufficiente aprire un’ampia discussione
sulle nuove riforme da fare.
In questo divertente paradosso ha poi
un ruolo decisivo il calendario: è tecnicamente impossibile
approvare una nuova legge elettorale prima del referendum, persino se
Renzi lo volesse e Forza Italia fosse d’accordo. La discussione
però è utile a svelenire il clima, a «spersonalizzare» – come
stucchevolmente si ripete da settimane – il voto referendario, a
mostrare disponibilità e apertura, e ad intrattenere politici e
commentatori. Poi a novembre si vedrà: ma dopo il referendum,
qualunque ne sia l’esito, si apre una fase radicalmente diversa, e
tutte le parole di oggi finiranno, come le tante che le hanno
precedute, nei polverosi archivi della cronaca.
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