David Sassoli
Vicepresidente parlamento europeo
18 luglio 2016
La Brexit sta cambiando gli europei. O
meglio, sta producendo l'esatto contrario dell'effetto sperato dai
promotori del referendum: scatenare un effetto domino per disgregare
l'Unione europea. Niente di tutto questo sta avvenendo negli Stati
membri. Senso di appartenenza e convenienza prevalgono sulle spinte
anti-europee e in molti casi fanno recuperare consenso all'Europa.
La documentazione raccolta da
Eurobarometro, contenente le rilevazioni condotte nei singoli paesi
della Ue, in alcuni casi anche più di una, consentono un primo esame
delle reazioni delle opinioni pubbliche all'uscita della Gran
Bretagna e offrono una chiave di lettura per affrontare una delle
stagioni più difficili della moderna storia europea. Si tratta di
una carrellata di sondaggi a caldo, con i limiti che questo strumento
possiede. Ma come vedremo, in alcuni casi, i dati sono talmente
eloquenti da non sopportare smentite.
In un solo paese, l'Olanda, il fuoco
anti-europeo non si smorza. In tutti gli altri, la Brexit fa
recuperare quel senso di appartenenza all'Europa anche da parte di
segmenti di elettorato che si erano mostrati favorevoli a una uscita
dall'Ue. In molti Stati membri, infatti, c'è un prima e un dopo la
Brexit. È il caso della Polonia, dove le spinte anti-europee hanno
portato al governo un partito dichiaratamente secessionista. I dati
che arrivano da Varsavia sono clamorosi. L'84% dei cittadini giudica
positivamente l'adesione all'Ue e l'83% voterebbe per restare in
Europa in caso di referendum. Ma non solo, interessante anche il
rapporto dei polacchi con l'euro. La maggioranza dei cittadini - 72%
- vorrebbe tenersi lo zloty, la moneta nazionale, ma se
l'appartenenza all'Unione europea dipendesse dall'introduzione
dell'Euro, i favorevoli all'Euro salirebbero al 50 per cento. E
restiamo nel nord Europa. In Danimarca, il sostegno all'Unione
europea è salito di dieci punti rispetto a un sondaggio tenuto poco
prima il referendum britannico: dal 59,8 al 69 per cento. Stesso
trend si registra in Finlandia, con circa il 68% che dichiara di
voler rimanere. Si registra un clima più europeista anche in
Germania, con la Merkel che torna agli indici di popolarità che
aveva prima della crisi dei profughi.
Il sondaggio realizzato da Infratest
Dimap l'8 luglio, riferisce di un incremento del 2 per cento in
favore della Cdu e di 1 punto per la Spd. Di contro vengono rilevati
3 punti in meno - 11% - per la destra xenofoba di Alternative für
Deutschland. Sulla Brexit, comunque, i tedeschi sono perentori:
scelta sbagliata dichiara il 63% dei cittadini. Fra le pieghe di
sondaggi condotti da vari istituti tedeschi, anche una chiara
indicazione di marcia: per il 70% degli intervistati, l'Unione
europea dovrebbe essere "completamente riformata". Un filo
rosso, insomma, lega le opinioni pubbliche di paesi in cui il vento
anti-europeo aveva tirato forte. È il caso dell'Ungheria. Per
l'indagine condotta da Nézöpont Institute, subito dopo la Brexit,
il 60% dei cittadini ha considerato l'esito del referendum
sfavorevole per l'Ungheria e il 64% non condividerebbe l'ipotesi di
promuovere una consultazione sull'adesione all'Unione. Solo il 12%
considera l'esito della Brexit "una decisione giusta".
Sulla stessa lunghezza d'onda anche la
Grecia, paese in cui il riferimento all'Europa non è stato in questi
anni molto popolare: per il 47% il referendum britannico è stata una
"cattiva cosa", a fronte del 27% di favorevoli all'uscita.
Se si passa poi a giudicare l'ipotesi di condurre la Grecia fuori
dall'Ue, i contrari sarebbero il 41%, i favorevoli il 20%, e né
contrari né favorevoli il 25% mentre il 14% non sa rispondere. Ma
continuiamo nell'interessante carrellata di umori. Nella Repubblica
d'Irlanda, se si svolgesse un referendum, il no all'uscita sarebbe
sostenuto dall'80% dei cittadini. In Italia, nei sondaggi pre-Brexit
il 58% degli intervistati si era espresso favorevolmente sulla
proposta di promuovere un referendum sulla permanenza nell'Unione.
Dopo la consultazione britannica la cifra è scesa al 44 per cento.
Paura di fare la stessa fine? Probabile. Secondo l''istituto Ixe i
favorevoli a far svolgere un referendum sarebbero il 28%. E secondo
Demopolis, l'80% dei cittadini è decisamente convinto che l'Italia
debba restare nella Ue.
Più equilibrato il quadro francese. Il
Fronte nazionale di Marine Le Pen resta stabile nei sondaggi, ma i
francesi - 61% - pensano che abbandonare l'Unione sarebbe "molto
grave" e produrrebbe guasti incalcolabili sul piano economico.
Articolate le risposte sul gradimento rispetto alle istituzioni
europee che avrebbero promosso, per il 68% degli intervistati,
"politiche sbagliate". E di gran lunga al primo posto per
quanto riguarda le priorità scelte per raddrizzare la barca, i
francesi indicano - 40 % - uno stop alle adesioni di nuovi Stati
all'Unione europea.
Il caos politico e le difficoltà
economiche sembrano aver avuto effetto anche in Austria, paese
spaccato a metà nelle recenti presidenziali di maggio, poi
recentemente annullate. Il sondaggio Gallup del 5-6 luglio rileva che
il 52% degli austriaci è convinto che serve rimanere, il 30% che
occorre chiudere con l'esperienza europea, il resto non ha nessuna
idea in proposito. Da notare, però, che mentre i favorevoli
aumentano solo di un punto percentuale rispetto alla settimana
precedente il referendum, il fronte anti-europeo perde 8 punti. In
Austria anche un altro sondaggio (ÖGfE) mostra una decisa inversione
di tendenza: 61% sarebbe per restare, 23% per andar via, 16% non sa.
Il cambiamento di umori fra gli elettori austriaci potrebbe avere
effetti anche nelle prossime elezioni presidenziali, tanto che il
leader euro-scettico e anti-immigrazione, Norbert Hofer, ha
dichiarato a Die Presse di non essere mai stato "a favore
dell'uscita dell'Austria dall'Unione europea": "Se
l'Austria dovesse lasciare l'Ue sarebbe indubbiamente danneggiata".
E vediamo cosa accede in Olanda,
considerato uno dei paesi che potrebbe seguire l'esempio del Regno
Unito. In leggero calo il partito di estrema destra, Libertà, di
Geert Wilders ancora ampiamente in testa nei sondaggi. Gli tengono il
passo formazioni europeiste come la Dc e i liberali D66. Anche se il
primo ministro Mark Rutte ha dichiarato che un referendum non sarebbe
nell'interesse dei Paesi Bassi, gli olandesi non sembrano cambiare
idea rispetto alla vigilia della Brexit: 48% dei cittadini vorrebbe
uscire, 45% rimanere. Un fronte caldo, quello olandese, in
controtendenza, che non subisce gli effetti, politici e psicologici,
provocati dal referendum nel Regno Unito.
Nella maggior parte degli Stati,
invece, la Brexit è sinonimo di crollo economico e incertezza
sociale. Avventure a cui in molti non vogliono partecipare. Ma gli
umori delle opinioni pubbliche europee dicono anche altro. E lo
indirizzano direttamente alla politica e ai governi: questo è il
momento di osare, di spingere per una maggiore integrazione al
servizio dei cittadini e di scommettere per una governance più
democratica dell'Europa. Se non ora, d'altronde, quando?
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