Maurizio Crippa
Il Foglio 16 gennaio 2018
Una Lombardia aperta che si deve
misurare con l’Europa, non con l’Italia che va male. La
“fotografia” di una squadra che c’è e che sa governare. Niente
paura delle larghe intese, “ma un premier di sinistra farebbe
meglio”
E il Pd di che razza è? Non
pizzicherete Giorgio Gori a polemizzare al ribasso sulle sguaiatezze
di giornata del suo rivale, Attilio Fontana. Lo liquida così: “Tutti
lo dipingono come un moderato, ma basta aver letto le sue
dichiarazioni passate su destra, unioni civili, immigrazione e altro
per capire che è un Salvini con la cravatta”. Ma Giorgio Gori è
noto per essere “uno preparato” (“l’ansia di non essere
pronto me la porto dalla scuola, mi documento sempre”) perciò
prende la domanda dalla parte seria: “Il Pd è il frutto di tante
storie, anche diverse, che insieme hanno prodotto un partito di massa
della sinistra riformista ed europea che non ha eguali. Da questo
punto di vista, anche la scissione di qualche mese fa in fondo è
servita a fare chiarezza”. E con questo abbiamo liquidato anche il
tema dei Liberi e uguali, che in Lombardia correranno da soli e
contro il Pd e il suo candidato. “Io continuerò fino al 4 marzo a
rivolgermi ai loro possibili elettori. Perché sono convinto che sono
più le cose che li avvicinano al programma della sinistra che
rappresento (compreso il listino del presidente, saranno sette le
liste che lo sosterranno nella corsa per la regione, ndr) che non le
divisioni del gioco politico. C’è molto tafazzismo. A parte che la
Lega le sembra unita?”
Ed
eccoci al cuore della sfida. Lei si è proposto con un claim, “Fare,
meglio”, di buon impatto, ma che allo stesso tempo sembra ammettere
che tutto male non va, in Lombardia. C’è il rischio (per voi) che
sia anche l’opinione media dell’elettore lombardo. E’ la
difficoltà che la sinistra ha sempre scontato al nord, e ultimamente
sta scontando a livello nazionale: non riuscire a comunicare di poter
fare davvero “meglio” degli altri. perciò, a parte la
“competenza” contro gli sfascisti, qual è l’idea forte che il
centrosinistra può mettere in campo, in Lombardia e in prospettiva
nazionale? Lei parla di “apertura”, di Lombardia come sistema
aperto contro la “chiusura” del forzaleghismo. Non è un
messaggio semplice da far passare: il “modello Lombardia” va di
moda. “Bisogna dire le cose come stanno, oltre che dirle bene. Io
ripeto sempre: se stiamo qui a misurarci con la Sicilia, o altre
regioni male amministrate, possiamo anche crogiolarci in una
classifica al ribasso. Ma se invece ci confrontiamo con le regioni
europee che sono i nostri riferimenti, o competitori, come l’area
di Stoccarda, la Baviera, scopriamo che primi in classifica non lo
siamo, anzi. Sull’innovazione, la dispersione scolastica, l’accesso
delle donne al lavoro (10 punti in meno), l’assistenza alle
fragilità, agli anziani”.
Incalza Gori: “Il centrodestra per
molti anni ha trascurato questi problemi. Ma noi dobbiamo correre da
regione europea, e c’è da correre. Il messaggio ‘“’fare,
meglio’, oltre a rispecchiare completamente la mia formazione, la
mia idea di riformismo che è diversa da quella della sinistra
tradizionale, è un messaggio concreto: si può e si deve fare meglio
rispetto al racconto che viene fatto da destra. Del resto basta
parlare con le aziende, i consorzi, le realtà territoriali per
sentirsi dire quel che non funziona della Regione di Maroni. Basta
guardare gli indicatori di efficienza dell’amministrazione che sono
peggiorati negli anni”. L’idea forte di questa sinistra, allora,
qual è? “Unire la crescita e l’integrazione. Sia per quanto
riguarda certe aree che, pur nella dinamica Lombardia, sono state
lasciate indietro, come il Sud agricolo. E poi l’integrazione delle
persone, dei diritti. Faccio solo l’esempio della difficoltà che
hanno ancora i figli della classi popolari ad accedere
all’università. Serve un’equità dei punti di partenza. Dobbiamo
essere la regione delle opportunità”.
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