Donatello Baldo
Il Dolomiti 04 gennaio 2018
TRENTO. Ha 59 anni, di professione
giornalista e laureato in filosofia. E' stato eletto in Parlamento
per quattro volte nel 2001, nel 2006, nel 2008 e nel 2013. Con i Ds
ai tempi di Veltroni, nel Pd dalla sua fondazione. Giorgio Tonini è
presidente della Commissione Bilancio del Senato. Quest'ultima è la
sua quarta legislatura.
"In questi cinque anni è stato
fatto tanto, si è riusciti a percorrere il 'sentiero stretto' senza
cadere nel burrone della recessione o in quello dell'esplosione del
debito pubblico"
Senatore, finisce la legislatura ma
questo è stato anche il suo ultimo anno in Parlamento?
Direi proprio di sì. Ho fatto tre
legislature più quella breve dal 2006 al 2008. Sulla base delle
regole del Partito Democratico non posso più ricandidare.
Ma ci sono delle deroghe.
Ma non penso che sarà il mio caso.
Beh, saranno felici deputati e senatori
trentini alla caccia del posto in un collegio.
Tranquilli che il problema di
sistemare Tonini non ci sarà, ce ne sono ben altri di problemi.
Questo lo togliamo subito di mezzo.
Di esperienza se n'è fatta in questi
anni, come è cambiata secondo lei la politica?
Il cambiamento macroscopico è stato il
passaggio dal bipolarismo a tripolarismo, con la presenza dei 5
Stelle. La rottura di questo schema porta con sé una caratteristica:
diventa altamente probabile che nessuno vinca le elezioni.
Come in effetti è successo.
Infatti si è dovuto costruire un
governo attraverso forme di compromesso. Con Letta assieme al Pd
c'era tutto il centrodestra, tranne la Lega. Con Renzi, a causa della
frantumazione del centrodestra stesso, si è formato un governo a
netta guida PD, che però doveva fare i conti con queste componenti.
Il rischio paralisi c'è anche per la
prossima legislatura.
Il rischio è che si riproduca la
stessa difficoltà a trovare una maggioranza omogenea. Le riforme che
avevamo proposto avevano come obiettivo quello di garantire un
vincitore attraverso il ballottaggio e attraverso il superamento del
bicameralismo.
Però la riforma è stata bocciata.
E andremo a votare con un sistema
elettorale che non riuscirà a garantire, su due Camere, la
maggioranza a uno dei tre poli. E' quindi possibile che si debba
costruire un altro governo di coalizione.
Se al referendum costituzionale
avesse vinto il sì... Le viene mai da dire 'Io l'avevo detto?'
Ma non serve a niente, in democrazia se
il popolo ti dà torto ti dà torto. Io penso che sia
stata un'occasione persa per il Paese ma se abbiamo perso
significa che non siamo stati capaci di convincere la maggioranza
degli italiani.
Ed è stupido prendersela con gli
elettori.
Non ha proprio senso prendersela con
loro, gli elettori hanno sempre ragione anche quando hanno torto. In
democrazia funziona così, se non riesci a convincere la maggioranza
degli elettori, perdi.
Molti danno la colpa a Renzi per la
sconfitta, dovuta anche a come ha condotto la campagna referendaria,
anche al suo carattere.
E' vero. Il carattere di Renzi - il suo
coraggio, la sua determinazione, anche in qualche modo la decisione
di portare avanti le sue idee a tutti i costi - è
stato determinante per concludere l'iter parlamentare della
riforma. Ma questa dote si è trasformata nel suo limite.
Si spieghi.
Quell'energia - anche giovanile,
possiamo dire - che Renzi ha messo nella cavalcata che ha
portato alla vittoria in Parlamento della riforma, nella
campagna elettorale è stata il difetto che ci ha tradito.
Ci siamo trovati soli. Un 40%, che non è poco, contro il 60. Le doti
di Renzi si sono rivelate anche il suo limite.
Non gli ha giovato nemmeno identificare
il referendum con se stesso.
E' vero anche questo.
Aver identificato in maniera eccessiva la vittoria al referendum
con il governo, con la stessa figura di Renzi, ha trasformato
quel voto in una valutazione sul governo stesso. Così alla fine si
sono coagulate tutte le forze contrarie a Renzi e si è perso.
Senatore, qual è stato il punto più
alto e nobile del su lavoro da parlamentare?
Credo che la cosa più importante
sia stata quella di essere riusciti a percorrere quello che
il ministro Padoan chiama 'il sentiero stretto', quello che ha
consentito di rimare dentro le regole europee, di tenere sotto
controllo i nostri conti e ridurre ogni anno il deficit, aumentando
allo stesso tempo la crescita.
In effetti sembrava impossibile
coniugare crescita e riduzione del debito. Un sentiero con il baratro
su entrambi i lati.
Questi ultimi tre governi - Letta,
Renzi, Gentiloni - hanno dimostrato che è possibile. Il lascito
di questa legislatura, dal punto di vista economico, è
positivo. Il percorso seguito dal pd è un percorso da continuare, è
la cosa più importante per il futuro del Paese.
Dal punto di vista parlamentare? Quali
obiettivi sono stati raggiunti in questi cinque anni?
Mai come in questa legislatura c'è
stato un avanzamento così profondo su questioni che riguardano la
vita delle persone. Mi riferisco alla partita sui diritti civili, il
divorzio breve, il testamento biologico, il dopo di noi e soprattutto
le unioni civili.
Obiettivi impossibili da raggiungere
fino a qualche anno fa. Tutto merito di Renzi?
In effetti la contrapposizione Guelfi e
Ghibellini che era emersa in altre stagioni della politica questa
volta non è avvenuta. Lo si deve ad un orientamento diverso della
Chiesa: quella di papa Francesco non è la stessa del cardinale
Ruini, per intenderci. Ma lo si deve anche al Pd.
Che questa volta è riuscito a fare
sintesi tra laici e cattolici.
Io ho sempre creduto nel Pd e non nei
partitini mono-culturali proprio perché il Pd si fonda
sull'incontro tra le culture e sul superamento degli steccati. A
questo non si dà mai grande evidenza, ma perla prima volta in
Italia si è riusciti a costruire un partito fondato sul
superamento di quelli che si chiamavano gli storici steccati tra
laici e cattolici. C'è un partito in cui convivono e
collaborano e alla fine si mescolano credenti e non credenti nella
ricerca di soluzioni per i cittadini fondati sulla libertà e sul
rispetto delle identità e delle coscienza.
Sullo ius soli, invece, non si è
trovata nessun punto d'incontro. Possiamo dire che questo sia uno dei
punti più bassi della legislatura?
Non sono del tutto d'accordo. In questo
caso non c'è stato verso di trovare una maggioranza. C'è
stato l'errore di alcuni miei colleghi, in gran parte in buona
fede, di gettare la spugna attraverso l'assenza dall'Aula. Ma
onestamente, anche se fossero stati tutti presenti, non c'erano i
numeri per votare lo ius soli.
Se ne riparlerà? E' un tema
importante.
Lo ius soli rimane la grande incompiuta
di questa legislatura. Un impegno da dover portare a casa nella
prossima. Ma di insuccessi ce ne sono stati anche altri in questi
cinque anni, uno ancor più macroscopico.
Dica pure.
Mi riferisco alla riforma sulla scuola.
Abbiamo messo in campo tante risorse, 3 miliardi e mezzo sulla Buona
Scuola, però non si è capito il senso dell'intervento fatto, e
ci siamo ritrovati con gran parte del mondo della scuola più
ostile. Una riforma uscita male. In un contesto complessivo in cui il
Paese ha fatto grandi passi avanti, è onestamente un
insuccesso. Come sempre quando si fanno tante cose,
non tutte le ciambelle riescono col buco.
Senta senatore, ora inizia la campagna
elettorale, si iniziano già a sentire le urla dei comizi. Lei però
non è un politico che arringa le folle. Lei che politico è?
Per me la politica è ragionamento,
riflessione, mediazione. cercare assieme agli altri la via d'uscita.
Don Milani diceva che sortirne tutti assieme è politica, sortirne da
soli è egoismo. La politica è quindi solidarietà e dialogo,
mettersi introno a un tavolo e trovare soluzioni.
La propaganda non le piace, vero?
No, non mi piace. Poi è ovvio che la
politica è anche conflitto, competizione, uno vince l'altro perde,
la propaganda c'è, ma guai se la politica si limita alla propaganda.
Giancarlo Pajetta, grande dirigente del Pci che di propaganda se ne
intendeva eccome, spiegava ai suoi giovani dirigenti che ciò che
rende diverso un politico da un cretino è che il cretino crede alla
propria propaganda.
Chissà se Berlusconi e i 5 Stelle
credono alla loro. Stanno promettendo di diminuire le tasse
incredibilmente, di proporre un reddito di cittadinanza. Ma con che
soldi?
Io spero che la maggioranza dei
cittadini non si lascia accalappiare da facili slogan e da facili
promesse. Il Paese altrimenti è nei guai. Ritorniamo alla metafora
del sentiero stretto: se si cammina è un conto, se uno inizia a
correre è facile che cada e scivoli nel burrone.
Senatore Tonini, cosa farà
adesso, dopo la sua esperienza parlamentare? Si è parlato di lei
come possibile presidente della Provincia.
Ora darò una mano in campagna
elettorale, io ci sarò, non lascio la politica. Tutti devono dare il
proprio contributo, ci sono fasi della vita in cui lo dai in un modo
e altri in cui lo dai in un altro. PEr il resto, vedremo in che mondo
saremo da marzo in avanti.
Nessun commento:
Posta un commento