Stefano Ceccanti
8 gennaio 2018
Nel giro di 48 ore un bravo magistrato come Grasso (nonostante le
critiche sbagliate di alcuni settori più radicali della magistratura su
quel suo lavoro) si rivela una volta di più un leader politico poco
adeguato. Purtroppo non c'è nessun automatismo tra la capacità nella
propria professione, anche quando si tratti di una professione molto
importante e qualificante, e la competenza in politica che non si
improvvisa. Solo in Italia e in questa legislatura un leader politico ha
pensato di eleggere alle Presidenze delle Camere due persone che mai vi
avevano messo piede come parlamentari.
Dai primi anni '80
Ermanno Gorrieri, il massimo esperto di politiche efficaci per
l'eguaglianza, sosteneva che una politica di basse tasse universitarie
fosse deresponsabilizzante e iniqua, trasformandosi in una specie di
Robin Hood alla rovescia in cui i ceti medio bassi finanziavano
l'Università ai figli di ceti medio-alti che peraltro non avevano così
incentivo a finire presto gli studi.. Mi ricordo varie conversazioni con
lui di metà anni '80 quando ero Presidente della Fuci e più tardi
quando mi capitò di coordinare una ricerca del Censis dal titolo "Quando
assistere non basta più". Gorrieri insisteva per fare prima una
battaglia culturale e poi politica per tasse più vicine al costo
effettivo, i cui introiti avrebbero dovuto essere dirottati
prioritariamente ad una politica per i capaci e meritevoli privi di
mezzi (articolo 34 della Costituzione). Prima culturale che politica,
sosteneva Gorrieri, perché i media erano dominati da commentatori di
fasce medio alte che erano beneficiarie di quella politica sbagliata.
Erano riflessioni che precorrevano di dieci anni quella che è ritenuta una delle riforme migliori del Governo Blair.
Alcune
cose per fortuna si sono mosse in quella direzione in Italia anche
grazie all'Isee e al lavoro instancabile di Gorrieri, ma purtroppo lì
torna Grasso ignorando decenni di riflessione in merito, nella
presunzione di ripartire da zero.
Ancora più stupefacente,
però, per almeno due profili, la lettera inviata oggi da Grasso a "La
Repubblica". Anzitutto si firma a doppio titolo come Presidente del
Senato e leader di LeU, ma sostiene nel contempo che il Presidente del
Senato non può finanziare un partito. Ora se si vogliono distinguere
nettamente i due profili con tutta evidenza non si può fare il leader di
un partito; è insostenibile ritenere ciò più compatibile che non un
finanziamento. Sia quello al Pd sia quello a LeU, dato che non credo che
il Presidente Grasso sarà esentato dal contribuire alla campagna
elettorale del suo partito. Ci mancherebbe che dovessero pagare solo gli
altri candidati e non lui che ne è il leader. In secondo luogo quando
ci si iscrive a un gruppo, che è nei casi migliori la proiezione di un
partito, ci sono oneri e onori, tra cui il contributo da versare. Delle
due l'una: o si ritiene che un Presidente di Assemblea nel momento in
cui è eletto si debba iscrivere al Gruppo Misto per rimarcare
l'indipendenza (ed è una tesi ben sostenibile) e in quel caso ovviamente
sarebbe esente dal contributo, oppure, se invece resta iscritto al
gruppo di origine, come ha scelto di fare Grasso fino a pochi giorni fa,
non può che comportarsi come tutti gli iscritti a quel gruppo.
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