Intervista a Giorgio
Tonini
Pierluigi Mele 12 gennaio
2018
Senatore Tonini, parliamo della campagna elettorale appena
cominciata: non trova deludente questa rincorsa populista alle
proposte irrealizzabili, o comunque costose oltre misura?
E purtroppo
anche il PD non è immune.... In condizioni politiche difficilissime,
senza una maggioranza al Senato, in questa legislatura il Pd ha
garantito al Paese un governo che è riuscito a rimettere in moto la
crescita e a riportare ai livelli pre-crisi l’occupazione, senza
violare le regole europee, dunque senza mettere a repentaglio la
credibilità presso i mercati della nostra finanza pubblica. Ciò è
stato possibile anche perché i nostri governi, e il governo Renzi in
particolare, non si sono limitati a gestire l’ordinaria
amministrazione, ma hanno messo in cantiere una batteria di riforme
impressionante per quantità e qualità. Naturalmente non tutte sono
andate in porto e non tutte sono riuscite nel modo migliore. Ma il
Paese si è rimesso in movimento. Capisco che i nostri avversari
abbiano pochi argomenti contro il nostro governo, che infatti gode
(il governo, purtroppo non il partito, ma questa è un’altra
questione...) di elevatissimi livelli di consenso. E dunque tentino
di buttarla in caciara, come si dice a Roma, sparando una raffica di
proposte demagogiche, che avrebbero come unico effetto, se portate
avanti, quello di minare la credibilità del Paese e di riportarci
nel pieno di una crisi economica dalla quale stiamo solo ora
faticosamente uscendo. Ma il Pd non ha alcun bisogno di inseguire
demagoghi e populisti sul loro terreno.
Continuamo il ragionamento
sulla campagna elettorale. Vi sono tre grosse proposte, Pd,
Centrodestra e MS5. Il disegno della destra è chiaro, più o meno,
quello dei 5stelle, è un disegno di sincretismo confuso, e quello
del PD?
Non basta il richiamo alla etica della responsabilità c'è
bisogno della visione. Qual è la visione del PD? Il renzismo è
superato.... Ma il Pd ce l’ha eccome una visione sul futuro
dell’Italia! Intanto siamo l’unico partito davvero europeista.
Gli altri, o sono esplicitamente contro l’Europa, o sono quanto
meno ambigui e confusi. Prendiamo il centrodestra: Forza Italia si
considera un partner politico della Cdu tedesca, ma poi si allea con
la Lega di Salvini e coi Fratelli d’Italia della Meloni che la
pensano esattamente al contrario e al parlamento europeo vanno a
braccetto con le peggiori forze nazionaliste. Lo stesso Berlusconi ha
ripetuto per mesi di essere contrario all’uscita dell’Italia
dall’Euro, ma ha poi proposto la doppia moneta sul modello delle
Am-Lire, quelle stampate dal governo provvisorio durante
l’occupazione angloamericana... Una prospettiva da incubo. E non
parliamo dello stato confusionale in cui versa, dal punto di vista
programmatico, il M5S... Il Pd è invece il partito che ha saputo
imporre una applicazione del Fiscal compact con la necessaria
flessibilità e ora si pone l’obiettivo di fare dell’Italia un
partner di Francia e Germania nella costruzione di una nuova
governance europea. Il vertice a Roma di Gentiloni con Macron, non in
chiave antitedesca, ma di partnership paritaria e complementare, è
la migliore espressione di questa “visione”. L’Europa è la
prima coordinata della visione del Pd, insieme al primato del lavoro,
soprattutto per i giovani, a quello della famiglia nelle politiche
sociali, al rinnovamento della democrazia e delle sue istituzioni.
I
sondaggi sono crudeli per il PD. Non passa giorno in cui il PD fa
segnare una perdita. Resta difficile un cambio di tendenza. Non mi
dica che si perde consenso perché siete stati al governo (lo ha
detto Renzi).. Il partito in alcune realtà è ai minimi termini.
Senza radicamento si perde... È tardi Senatore Tonini.... Non le
pare?
Shimon Peres diceva che i sondaggi sono come i profumi, vanno
annusati e non bevuti. Oggi i sondaggi ci dicono che c’è un ampio
e diffuso, anche se non acritico, consenso alla nostra azione di
governo, che non si traduce in orientamento di voto al nostro
partito. Penso che se sapremo usare la campagna elettorale per
ricomporre questo scarto, possiamo ancora vincerle queste elezioni.
Mi pare che Renzi abbia da tempo deciso di attestarsi su questa
linea, come dimostra il fatto che stiamo confezionando le liste
attorno alla candidatura dei principali esponenti del governo. Il
paradosso del consenso al governo ma non al partito si spiega in gran
parte con lo stato di sofferenza nel quale il partito versa. Questo è
stato forse il vero errore di Renzi e di tutti noi con lui: aver
trascurato il partito, che ha finito per ridursi, in molti, troppi
territori, ad una confederazione di correntine, cordatine e
conventicole. Non si trattava e non si tratta di tornare a vecchi
modelli di organizzazione politica ormai esauriti, ma di
sperimentarne di nuovi, come hanno saputo fare negli anni scorsi con
Obama i democratici americani. Questo resta comunque il compito dei
prossimi anni.
Il rapporto con liberi e uguali. Qualcuno ha suggerito
una sorta di non belligeranza tra voi. Una proposta ragionevole....
Ma noi non siamo in guerra con Liberi e Uguali. E non abbiamo ancora
perso la speranza che questi nostri amici e compagni ascoltino gli
appelli che anche in questi ultimi giorni hanno rivolto loro Prodi,
Veltroni e la stessa Susanna Camusso, perché ci si possa presentare
alleati alle elezioni regionali in Lombardia e Lazio, se non anche
nei collegi delle politiche. Del resto si fatica a comprendere il
senso di questa loro fuga solitaria dalla realtà. È ovviamente
legittimo contestare e contrastare la linea politico-culturale, nella
quale anch’io da sempre mi riconosco e che si è affermata nel Pd,
in questi anni, grazie alla leadership di Matteo Renzi. Ma c’è un
tempo per ogni cosa, dice la Bibbia. C’è un tempo per il confronto
interno e una sede nella quale organizzarlo, che si chiama congresso.
E c’è un tempo per il confronto con gli avversari veri, che stanno
a destra e dalle parti nebulose del M5S, il tempo delle elezioni.
Confondere le elezioni col congresso rischia di portare questi nostri
amici e compagni in una condizione nella quale, nella migliore delle
ipotesi, dal punto di vista del loro consenso, si riveleranno
dannosi, perché spianeranno la strada alla vittoria dei nostri
comuni avversari; nella peggiore si riveleranno inutili, cioè
irrilevanti.
Ho letto che non si candida. Una notizia che ha molto
colpito. Al di là della questione delle deroghe, mi è parso di
cogliere un velo di delusione nei confronti della politica... Si
rimprovera qualcosa?
Nel Pd, dieci anni fa, ci siamo dati una regola,
voluta per favorire il ricambio della classe politico-parlamentare:
dopo 15 anni non ci si può più ricandidare, salvo poche, motivate
eccezioni. Io ho alle spalle quattro legislature, per complessivi 17
anni di Senato. Dunque non posso più essere candidato, né intendo
chiedere una deroga. Perché non voglio diventare un problema per il
mio partito, che di problemi ne ha già tanti e di molto più seri.
Naturalmente la mia non è né una fuga né una diserzione e non ho
nessuna delusione da smaltire. Se la segreteria del Pd mi chiedesse
di ricandidarmi, magari in un collegio ad alto rischio, mi sentirei
seriamente chiamato in causa.
Potrebbe essere questa la carta
vincente per il PD?
Sì, potrebbe essere una mossa vincente. Invece
di rappresentarci, come talvolta rischiamo di fare, come un gruppo
dirigente spaventato, che si affolla attorno alle poche posizioni
garantite, sarebbe bello se ci facessimo vedere, soprattutto noi
della vecchia guardia, motivati a combattere nei collegi più a
rischio, quelli che davvero possono fare la differenza. Gli elettori
ci chiedono una prova di coraggio e di generosità.
Nessun commento:
Posta un commento