Walter Veltroni
L'Unità 25 settembre 2016
È davvero incredibile che i portatori
radicali del nuovo mondo oggi propongano il ritorno al sistema
proporzionale puro e alle preferenza Cioè la causa della instabilità
della prima repubblica
Ho percorso fin qui, per il mio nuovo
film, più di tremila chilometri di strade italiane. Sono alla
ricerca di ciò che più mi interessa nella vita: le storie, le
passioni, le emozioni, i sogni, il pensiero delle persone . Di quelle
il cui nome non finisce sui giornali o in televisione, di quelle che
sono fuori dai milioni di “occhi di bue” che molti contemporanei
pensano di sentire permanentemente accesi su di sé. È l’Italia
che lavora, che studia, che pensa, che ha memoria, che ha voglia di
raccontare.
Per quello che vale l’universo che ho
esplorato – ma, credetemi, tremila chilometri sono più faticosi e
attendibili di un sondaggio telefonico improvvisato – è un paese
vitale, combattivo, pieno di persone che non si rassegnano, che hanno
valori, che non cedono al pessimismo, che si sacrificano, che pensano
al futuro.
Ma, rispetto all’altro meraviglioso
viaggio in Italia che la vita mi ha riservato, quello fantastico che
mi portò in tutte le province italiane per far nascere e consolidare
la forza del nascente Pd nel 2008, ho anche misurato quanto ora
appaia lontano, a questa Italia del 2016, il discorso pubblico del
nostro tempo, la sua ripetitività stanca, la sua rissosità
permanente, l’affermarsi costante dell’odio come cifra delle
relazioni umane.
Pur in questo tempo di impazzimento
delle opinioni pubbliche, di cui la ascesa di Trump è manifesto
evidente, nel nostro paese sembra prevalere, sulla rabbia, la
sensazione quasi desolata di vivere senza passioni collettive, senza
speranze da condividere, divorati da un insieme di “passioni
tristi”. Non mi interessa che quello che sto per scrivere appaia
come un invito idealistico o astratto. Ma sento che è urgente
restituire all’opinione pubblica la relazione virtuosa tra la
soluzione concreta dei problemi concreti delle persone e un disegno
d’insieme, un sistema di valori e di ragioni che accendano le
passioni collettive e spingano i cittadini a non protestare soltanto,
a non essere rassegnati ma a partecipare alla dimensione collettiva
del vivere.
Da otto anni per correttezza nei
confronti di tutti i miei successori, non parlo di Roma, prima o poi
lo farò. Qui voglio soffermarmi non su ciò di cui si discute con
violenza e furbizia in questi giorni. Voglio parlare invece di quel
filmato girato nella metropolitana che vede i cittadini fermi mentre
accadono gesti di violenza nei confronti di cittadini inermi. Una
città è in primo luogo un’anima, un sentire comune, un luogo di
comunità o di egoismo. Se una città smarrisce la sua anima, la cui
definizione è un lavoro duro e tenace, tutto può accadere. Da
quello che scrivo si capisce che uno come me, difensore appassionato
della bellezza della politica , si sforza di cercare l’esperanto
che colleghi l’Italia dei cittadini a quella delle istituzioni.
Non credo alle scorciatoie seminate di
odio e di integralismo, non credo al qualunquismo e al populismo. Ma,
sia chiaro, credo che il trasformismo, la spregiudicatezza morale, la
politica come mestiere puramente finalizzato al potere siano quasi
peggiori, perché esercitati dall’alto, dei vizi di semplificazione
demagogica. La politica deve ritrovare un filo che colleghi le sue
scelte quotidiane con un progetto di società nuova, resa necessaria
dal tramonto del neoliberismo, dalla crisi della globalizzazione
finanziaria e dalle difficoltà drammatiche della democrazia in
Occidente. Oggi c’è bisogno di pensiero davvero nuovo, di coraggio
intellettuale e politico.
Abbiamo durato fatica a superare i
paletti del novecento ma oggi sembriamo, tutti, paralizzati dalla
incapacità di immaginare forme di partecipazione, di ruolo dello
Stato, di accumulazione e distribuzione della ricchezza, di
partecipazione democratica, di mutualità, di rapporto con la scienza
e la natura che siano davvero inedite e in sintonia con questa
società inedita. Da questo punto di vista devo confessare che mi
sembra uno scherzo da buontemponi il giravolta in corso sulla legge
elettorale.
Ho sostenuto, in tempi non sospetti, la
necessità di rivedere l’Italicum per armonizzarlo con la riforma
costituzionale. Io penso che l’Italia abbia bisogno di scegliere
con il suo voto il governo, che i cittadini debbano selezionare una
nuova classe dirigente legata al territorio, che ci voglia una
profonda riforma dei regolamenti parlamentari. E altro ancora.
Ma davvero mi sembra incredibile che i
portatori radicali del nuovo mondo, ai quali ho sempre guardato con
rispetto e interesse, oggi propongano il ritorno al sistema
proporzionale puro e alle preferenze. Cioè la causa della
instabilità della prima repubblica, dei governi balneari, delle
coalizioni tenute insieme dal potere. Voglio pensare che questa
posizione, subito sposata da Berlusconi, sia, in realtà la diabolica
materializzazione del proposito esposto, tempo fa, di sfasciare
tutto. In Italia ci manca solo la proporzionale pura con partiti
deboli, che nascono e muoiono non perché cade un muro ma perché
finiscono i parlamentari trasformisti, ci mancano solo le preferenze
che sono lo strumento principale della corruzione in politica, dei
condizionamenti anche finanziari di lobby e gruppi di interesse.
Io vorrei che l’Italicum venisse
corretto nella direzione opposta, ad esempio con collegi uninominali
in cui i cittadini scelgano un rappresentante che deve conoscere e
restare legato al territorio. Questo paese rischia molto, così. Chi
sostiene il maggioritario assoluto il martedì, il mercoledì propone
il suo contrario. La distanza tra politica e persone, oggi spesso
aggravata dalla fragilità di quei comuni che hanno sempre
rappresentato l’anello forte del rapporto cittadini-Stato, rischia
di diventare siderale se non ci si accorgerà che, per tutti, è
finito il tempo degli scherzi e della goliardia politica. Sarebbe
davvero grottesco se prevalesse l’idea di tornare ai governi fatti
dalle segreterie di partito e da correnti che non sono neanche più
quelli forti di un tempo.
La Dc, il Psi, gli altri, erano partiti
che nascevano con radici lontane, che affondavano nella storia
italiana. Poi sono stati rovinati proprio da un sistema fondato sui
veti, sui giochi, sul potere puro. Vogliamo tornare lì? La
democrazia dell’alternanza, i cui meccanismi vanno meglio definiti,
è, per me, l’unica soluzione per evitare il possibile tracollo
della democrazia italiana. Il nostro sistema, pomposamente definito
seconda repubblica, è a metà del tunnel. Solo che, come sempre,
invece di correre per guadagnare la luce finale si inverte la rotta,
per paura, e si torna all’inizio della galleria. Quando si è
bambini ci si diverte con il “Gio co dell’oca”, quello che
spesso fa tornare il concorrente alla casella di partenza. Da grandi,
da politici, quel gioco innocente diventa un’altra cosa. Diventa un
gioco cinico, spregiudicato, irresponsabile.
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