Fabrizio Rondolino
L'Unità 30 gennaio 2016
Il testimone: “Lo riportai a Palazzo
Chigi insieme all’avvocato e al senatore grillino”
Un numero imprecisato di Rolex e di
“cronografi di altre marche, ma comunque costosi”, è tenuto
nascosto da Matteo Renzi in una località imprecisata – chi dice
nei sotteranei di palazzo Chigi, chi nella soffitta di Rignano
sull’Arno, chi al sicuro in un caveau predisposto da Verdini – e,
nonostante gli sforzi eroici del Fatto per ristabilire finalmente la
verità dei fatti, continua a sfuggire alle ricerche e alle indagini
dei più accreditati servizi segreti.
L’incredibile vicenda, al cui
cospetto piazza Fontana e Ustica sono fiabe per ragazzi, tiene banco
da settimane sul giornale di Marco Travaglio, per la delizia dei suoi
avidi lettori e di tutti gli appassionati di misteri d’Italia.
Ieri, a sorpresa, ha rivelato la sua identità il misterioso «pentito
dei Rolex» che lo scorso 20 gennaio, spezzando un’imbarazzante
omertà e a rischio della vita, aveva raccontato al Fatto «ulteriori
dettagli sui fatti di Ryad».
Il nuovo, esilarante capitolo delle
malefatte renziane si svolge infatti in Arabia Saudita, nel corso
della visita ufficiale dello scorso novembre. Alla delegazione
italiana vengono offerti in dono numerosi orologi, e fra la scorta
del premier e alcuni funzionari del Cerimoniale scoppia un diverbio
sull’assegnazione dei regali. L’indomani Ilva Sapora, il capo del
Cerimoniale, «ha tentato di recuperare i regali – raccontava “il
pentito dei Rolex” – ma non in maniera formale. Ha rifiutato di
predisporre un documento per certificare la restituzione dei
cronografi».
L’operazione recupero sembrerebbe
però riuscita soltanto a metà, perché, assicurava il pentito, «ci
sono molti Rolex ancora in giro». E Renzi che c’entra? Niente: «Il
fiorentino non interviene», scriveva dieci giorni fa il Fatto. Ma
siccome questi benedetti Rolex sono finiti almeno in parte a palazzo
Chigi – lasciarli a Ryad, anche Travaglio sarà d’accordo,
sarebbe stato maleducato – se ne dovrebbe dedurre che Renzi ne ha
fatto incetta, e che da qualche parte c’è un forziere che li
contiene. Ieri il “pentito dei Rolex” s’è presentato con nome
e cognome: è Reda Hammad, egiziano con passaporto italiano, e dal
2001 lavora occasionalmente come interprete arabo per palazzo Chigi.
Anche lui era a Ryad, e anche lui ha ricevuto un bel Rolex.
Quando il capo del Cerimoniale gli ha
chiesto, dopo lo sgradevole parapiglia della sera prima, di
consegnargli il prezioso cronografo, l’astuto Hammad ha subito
sentito puzza d’imbroglio e, racconta, «ho proposto di darmi una
richiesta scritta e una ricevuta a consegna avvenuta, per
proteggermi». Da che cosa volesse proteggersi il timoroso Hammad non
è chiaro: la proposta però viene respinta e l’interprete rientra
a Roma con il suo bell’orologio. Qualche giorno dopo scrive
un’email alla Sapora riproponendole la consegna dell’ostaggio, e
riceve in cambio la telefonata di un funzionario che gli annuncia,
minaccioso, che non avrebbe più ricevuto incarichi da palazzo Chigi.
Il regime, si sa, è spietato. E siccome l’affare s’ingrossa, il
coraggioso Hammad decide di metterlo in mano all’avvocato. Passano
le feste, e l’avvocato scrive una «lettera raccomandata» al
Diprus, l’ufficio che gestisce i regali di Stato.
Alle lettere raccomandate neppure il
governo riesce a resistere, e l’intrepido Hammad viene infine
ricevuto negli uffici della presidenza del Consiglio, dove mercoledì
27 gennaio, non prima di aver scattato alcune istantanee
scrupolosamente pubblicate ieri dal Fatto, consegna infine il suo
fantastico Rolex. Non sappiamo se Renzi se n’è già impossessato,
ma sappiamo che l’eroico Hammad non è andato da solo al Diprus:
con lui c’erano l’avvocato autore della micidiale «lettera
raccomandata» nonché un nuovo, inaspettato protagonista della
vicenda: il senatore Nicola Morra del Movimento 5 stelle. E così il
mistero si chiarisce: pensavamo ad un intrigo internazionale, ad un
traffico di oggetti preziosi, ad una grave violazione etica e invece
è la solita grillata.
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