Democratica 7 dicembre 2017
Mario Lavia
L’abbadono di Piasapia e Alfano
ripropongono il tema della soggettività dei dem
Non è giusto definire “una
pantomima” il tentativo del Pd di raggiungere intese con gruppi e
personalità politicamente vicini. L’operazione andava fatta ed è
stata condotta con onestà e convinzione da Piero Fassino. Alla fine,
tirate su le reti, non è andata come il Pd avrebbe desiderato. La
vicenda di Giuliano Pisapia è finita tristemente e c’è da
chiedersi se le persone che egli aveva radunato intorno avessero
davvero reciso il legame politico e psicologico con la sinistra
estremista. L’ex sindaco non ha saputo “dirigere” il suo gruppo
e alla fine ha dovuto gettare la spugna. Peccato, innanzi tutto per
lui. Muore l’esperienza di Campo progressista e nello stesso giorno
evapora anche Alleanza popolare con l’uscita di scena di Angelino
Alfano. Due simultanei abbandoni che lasciano libere le schegge
interne di guardare chi a destra chi a sinistra, a dimostrazione che
siamo in una fase davvero imprevedibile della politica italiana.
Altri confermano la scelta di allearsi
con il Pd – radicali, socialisti, personalità di sinistra,
amministratori, verdi, cattolici democratici – per cui dire che
“Renzi è solo” è una falsità. Ma qui il discorso merita
qualche approfondimento.
Bisogna chiedersi se il tempo delle
coalizioni così come le abbiamo conosciute negli anni Novanta
(l’Ulivo, il Polo) non sia definitivamente tramontato. Forse alcuni
dirigenti del Pd si sono illusi che fosse possibile ripercorrere
vecchie strade. Fare uno più più uno più uno. Ma non è (più)
così che si vincono le elezioni.
L’analisi delle novità
In fondo, se un partito come il M5s si
fa forte del rifiuto non solo delle coalizioni ma persino delle
alleanze, e anche per questo ha consenso, qualcosa vorrà pur dire.
Se nasce un partito come Liberi e Uguali, pur nella sua dimensione
più ridotta, che fa dell’isolamento una sua bandiera ideologica,
anche questo qualcosa vorrà dire. E se ci pensiamo bene anche la
Lega e Forza Italia stanno in un certo senso “andando da soli”,
dato che fanno due campagne elettorali diverse tenute insieme per
ragioni di potere in una finta coalizione. E sarebbe dunque singolare
se proprio il Pd, partito nato e cresciuto nell’idea della
vocazione maggioritaria, avesse paura di scendere in campo a viso
aperto, con le proprie bandiere, nel rapporto diretto con l’opinione
pubblica. Con le persone in carne e ossa.
Il tema è il rapporto con la società
Il treno che ha portato in giro per il
Paese Matteo Renzi e i dirigenti del Pd in questo senso è stato
utile a rinsaldare rapporti con i cittadini veri, direttamente e
senza la mediazione dei talk show. La stessa manifestazione
antifascista di sabato a Como è una risposta assolutamente
necessaria a un’insorgente problema politico e di ordine pubblico –
come si è visto con la sceneggiata sotto Repubblica – ma anche un
modo per rimettere al centro della scena le persone che hanno
qualcosa da dire.
Politicismi a parte, il punto vero è
proprio questo: il rapporto fra il Pd e la società. E’ questo, più
che il giochino dei cartelli elettorali, il vero banco di prova per i
dem. I cittadini giudicheranno un partito, quello che ha fatto,
quello che vuol fare. Valuteranno un gruppo dirigente, non solo il
leader (anche questo è cambiato dagli anni Novanta). Delle alchimie
politiciste non gli frega più di tanto.
E allora se tutto questo è vero
l’insuccesso dell’operazione-Pisapia e l’abbandono di Alfano
devono essere valutati nella giusta luce. La situazione non è
sostanzialmente cambiata. Caso mai, il quadro è più chiaro. E
questo è un bene per tutti.
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