Sergio Staino
L'Unità 10 ottobre 2016
Perché questa minoranza Dem non ha
imparato a girare le strade, come ci dice Pavese? Perché non si sono
immersi nel lavoro e nello studio approfondito della vittoria di
Renzi e della loro sconfitta?
Alla fine degli anni cinquanta, quando
ero adolescente, si diffuse in Italia l’uso del Ducotone, una
tempera lavabile dai colori vivacissimi e facile a stendersi sulle
pareti, con cui rendere più allegri i tristi condomini di recente
costruzione. Inusitati colori gialli, arancio, rossi, blu cercavano
di rallegrare la vita di noi inquilini arrivati freschi freschi dalle
campagne. Ricordo di aver colorato di blu la parete su cui era
poggiata la fiancata del mio letto, arricchendola poi di disegni
ispirati ai cavalli e ai bufali della grotta di Altamira. Sotto
questo disegno, incisa con la punta di un chiodo, una scritta:
«Traversare una strada per scappare di casa lo fa solo un ragazzo,
ma quest’uomo che gira tutto il giorno le strade, non è più un
ragazzo e non scappa di casa».
Era un brano di Pavese, da Lavorare
stanca, che mi aveva fortemente emozionato. Mi aveva fatto capire che
quelle inquietudini giovanili che ribollivano dentro me e i miei
coetanei, quella voglia di uscire fuori in modo finalmente libero e
autonomo, avevano senso solo se ti confrontavi con la realtà in cui
eri immerso. Se lo facevi così, tanto per dare un segnale di
indipendenza fine a se stesso, quello scappare da casa non aveva
alcun senso.
Ecco, proprio quella frase avrei
pronunciato se mi fosse stata data la possibilità di parlare alla
direzione di ieri. Una direzione a mio avviso molto deludente, che ha
visto ripetersi in forma ormai fiacca e stanca posizioni di apertura
molto minimali da una parte e di assurda chiusura dall’altra. Un
gioco già visto, e purtroppo fortemente inquinato dall’assurda
voglia di alcuni compagni di traversare questa strada e scappare di
casa.
Perché questa minoranza Dem non ha
imparato a girare le strade, come ci dice Pavese? Perché non si sono
immersi nel lavoro e nello studio approfondito della vittoria di
Renzi e della loro sconfitta? Perché non hanno cercato il modo di
valorizzare le cose buone che comunque nella gestione del partito e,
soprattutto, del governo ci sono? Capisco che non è un lavoro
facile, anzi, per rimanere in tema, possiamo dire che è un lavoro
che stanca. Molto più facile arrabbiarsi e criticare senza proporre
nulla. Capisco anche che il compito è stato reso difficile da
affermazioni spesso offensive nei confronti della minoranza. In certi
momenti è sembrato proprio un dialogo tra sordi. Ma io mi sono
formato con loro, con loro ho convissuto per decenni, e da loro ho
imparato come si fa politica.
E ora mi accorgo con sconforto che
molti di loro hanno perso proprio il senso del fare politica. Perché?
Per quale ragione hanno rifiutato le tante aperture che il segretario
del partito ha offerto loro, dalla direzione del partito a quella de
l’Unità? Perché hanno scelto la strada di cercare comunque lo
scontro e approfittare di ogni sbavatura, di ogni momento critico,
per segnare una linea di demarcazione tra buoni e cattivi? Io non lo
capisco. Abbiamo passato insieme moltissime stagioni politiche,
stagioni che ci hanno fatto crescere e qualche volta anche vincere,
ma che sono sempre state costellate, ovviamente, da numerosissimi
errori: quando abbiamo trattato con ferocia ogni socialista,
quando mi hanno costretto a votare Dini, quando abbiamo imbarcato Di
Pietro, forse anche quando abbiamo fatto il Pd così frettolosamente,
tanto per citare i primi che mi vengono in mente.
La stessa elezione di Renzi a
segretario del partito non deriva certo dal caso, bensì dal
terribile errore di superficialità e superbia fatto proprio da quel
gruppo dirigente che oggi decide di votare “No”.
Il classico suicidio del “tanto
peggio, tanto meglio”. Tutto questo mi dà un dolore enorme perché
impoverisce la ricchezza del Pd, la sua polifonia, la sua dialettica
interna, e pone una grossa ipoteca sulla sopravvivenza di un’area
di sinistra all’interno del nostro partito.
Oggi l’Europa è preda di tensioni
terribili e i populismi si allargano con voracità su di essa, e voi,
compagni miei, invece di guardare quest’isola ancora fertile di
buoni propositi che è l’Italia, rischiate di perdervi come i
Bertinotti di un tempo a guardare il vostro ombelico. Cercate di
ritornare in voi, di riconquistare quella capacità di vivere
unitariamente anche i momenti più difficili.
A me l’ha detto anche Molotov,
l’amico fraterno di Bobo: «Ricorda, qualunque cosa sbagliata
faccia Renzi, noi ex del Pci l’abbiamo fatta prima». E
soprattutto, aggiungo io, l’abbiamo superata tutti insieme.
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