Alfredo Bazoli
20 ottobre 2016
Lo so, non si dovrebbe.
E, ad essere onesti, in effetti io non
lo faccio mai.
E tuttavia, per quanto la riforma
costituzionale non si presti a semplificazioni e slogan, per quanto
le questioni coinvolte siano delicate e dense di aspetti tecnici
complessi e rilevanti, nonostante tutto ciò forse può essere utile
tentare un piccolo esercizio di semplificazione, di riduzione di una
materia complicata a qualche parola evocativa e limpida.
In fondo non tutti sono giuristi, non
tutti siamo costituzionalisti, eppure tutti siamo chiamati ad
esprimerci, a fare una scelta.
E allora qualche parola chiara può
servire.
Io la direi così, con tre parole, che
rappresentano altrettanti obiettivi, per me i più importanti della
riforma: stabilità, semplicità, sobrietà.
Stabilità
Sapete che il governo Renzi, benché
insediatosi a legislatura già abbondantemente iniziata, è già oggi
il 4° governo più longevo della storia di 70 anni di Repubblica? E
se arrivasse a fine legislatura conquisterebbe il primato di più
longevo di tutti? Questo semplice dato ci dice dell’endemica
instabilità delle nostre istituzioni, con tutto ciò che questo
comporta. Se l’orizzonte dei governi è breve, infatti, non sono
possibili politiche lungimiranti, che guardano oltre il tornaconto
elettorale immediato, la politica è debole e recessiva rispetto ai
grandi interessi economici, ai contropoteri, alle grandi burocrazie,
i governi contano poco o nulla nelle grandi istituzioni
sovranazionali, in primis l’unione europea ove si approvano circa
il 60% delle norme vigenti nel nostro ordinamento.
Attraverso la fiducia monocamerale,
l’accentramento presso la sola camera dei deputati della competenza
esclusiva sul 95% delle leggi ordinarie, la legge a data fissa dei
disegni di legge, si rimuovono alcuni degli ostacoli alla stabilità
politica, alcuni dei motivi di continua fibrillazione politica e
istituzionale che si ripercuotono negativamente sulla continuità dei
governi e dei parlamenti.
Semplicità
Il bicameralismo paritario è un lusso
che una democrazia decidente non può permettersi, tanto è vero che
non è presente in nessuna delle grandi democrazie parlamentari
europee. Due camere che fanno la stessa cosa comportano un raddoppio
delle fatiche, dei compromessi, del lavoro delle strutture
organizzative, che rappresentano obiettivamente un anacronismo
storico e una complicazione nel procedimento legislativo. Con la
riforma il 95% circa delle leggi sarà di competenza esclusiva della
camera dei deputati, con facoltà per il senato delle autonomie di
esaminare i testi, proporre modifiche, ma in tempi certi e con
decisione finale della camera.
A ciò si aggiunga la riforma del
rapporto tra stato e regioni, che semplifica, disbosca, rimuove le
sovrapposizioni legislative, rendendo più chiaro chi fa che cosa, e
introduce un nuovo equilibrio virtuoso tra centro e periferie
attraverso il senato delle autonomie territoriali.
Sobrietà
La riforma elimina un ente inutile, il
CNEL, riduce i parlamentari da 945 a 730, un numero più ragionevole
e corretto, toglie le indennità dei senatori, introduce tetti
alle indennità e ai rimborsi spese dei consiglieri regionali, riduce
le competenze e dunque in prospettiva la struttura organizzativa del
senato. Ciò comporterà un dimagrimento indubitabile delle spese
complessive per il funzionamento delle istituzioni repubblicane. Un
bel messaggio e un bel risultato per la politica in un’epoca di
ristrettezze economiche e sacrifici per i cittadini.
Stabilità, semplicità, sobrietà: tre
parole, tre obiettivi, tre ragioni della riforma
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